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La Favola delle Api - La ricerca sull’origine della virtù morale: onore, vergogna, emulazione


Tutti gli animali non domati sono per istinto attenti a soddisfare se stessi, e seguono le loro inclina-zioni senza considerare ciò che deriverà ad altri. I legislatori e i saggi che hanno istituito la società si sono sforzati di far credere che per ognuno era più vantaggioso dominare i propri appetiti che indulgervi, che era meglio curare l’interesse pubblico che privato.
Tuttavia, era improbabile convincere gli uomini a disapprovare le loro inclinazioni naturali, o a preferire il bene degli altri al proprio, senza una ricompensa per la violenza esercitata su se stessi. Coloro che hanno civilizzato l’umanità non lo ignoravano: ma non potendo dare ricompense reali, furono costretti a inventarne una immaginaria che pareggiasse la pena della rinuncia.
Essi esaminarono la forza e le debolezze della nostra natura e conclusero che l’adulazione era l’argomento più forte. Essi insegnarono i concetti di onore e vergogna, e mostrarono come fosse sconveniente per creature tanto sublimi prestarsi alla soddisfazione degli appetiti, come le bestie.
Inoltre, per introdurre fra gli uomini l’emulazione, essi divisero la specie in due classi diverse. Una consisteva di persone a caccia di godimenti immediati, prive di considerazione per il bene degli altri e senza uno scopo più alto. L’altra classe era formata da nobili creature, libere dall’egoismo e contrarie alle inclinazioni più violente. Essi li chiamavano i veri rappresentanti della specie sublime.
Chi seguiva gli impulsi naturali si sarebbe vergognato di ammettere di essere tra gli sciagurati che appartenevano alla classe inferiore e avrebbe esaltato come gli altri la rinuncia e l’amore per il bene pubblico. Nessuno avrebbe osato contraddire apertamente ciò che era un delitto dubitare.
Questo fu il modo in cui il selvaggio venne domato. Da ciò è evidente che i primi elementi della moralità, introdotti da abili politici per rendere gli uomini utili gli uni agli altri e docili, furono inventati affinché l’ambizioso ne ricavasse beneficio e potesse governare con facilità. Una volta stabilito questo fondamento della politica, era impossibile che l’uomo rimanesse a lungo non civilizzato.
Essi chiamarono vizio tutto ciò che l’uomo facesse per soddisfare un appetito, senza considerazione per il pubblico, e virtù ogni atto con cui l’uomo, andando contro l’impulso della natura, ricercasse il vantaggio degli altri, per un’ambizione razionale di essere buono.
Se si obietta che nessuna società fu mai resa civile senza una forma di culto, Mandeville rispon-de che le superstizioni idolatre non sono capaci di spingere l’uomo alla virtù, e possono tenere in soggezione e divertire una moltitudine rozza. La storia evidenzia che in tutte le società, per quanto erano stupide le concezioni sulle divinità, la natura umana si è esercitata in tutti i suoi ambiti.
Gli egiziani, non contenti di avere divinizzato dei mostri, presero ad adorare le cipolle. Tuttavia, nello stesso tempo, il loro paese fu la culla più famosa delle arti. A spingere dunque l’uomo al controllo degli appetiti non fu alcuna religione pagana, ma l’abile cura di politici accorti.
Non vi è uomo che sia al riparo dall’incantesimo dell’adulazione. Quando una bambina maldestra comincia a fare i primi goffi tentativi di riverenza, la bambinaia le fa delle lodi sperticate. Solo la signorina Molly, più grande di quattro anni sa come fare una riverenza bella, e si meraviglia della distorsione del giudizio, finchè non le viene detto all’orecchio che è per far piacere alla bambina, e che lei è una donna; lei allora, orgogliosa di essere messa a parte del segreto, ripete quanto detto.
La più insaziabile sete di gloria che mai abbia ispirato un eroe è invero un desiderio di accaparrare l’ammirazione degli altri. A questo punto si penserà che, oltre alle rumorose fatiche della guerra, vi sono azioni nobili compiute in silenzio, e quindi coloro che sono veramente buoni traggono soddi-sfazione dalla coscienza di essere tali, restando ignoti ai loro beneficiati. A ciò Mandeville risponde che è impossibile giudicare gli atti di un uomo se non si conosce il principio per cui agisce.
Inoltre la pietà, pur essendo più gentile e meno dannosa delle altre passioni, è una debolezza della nostra natura, come l’ira, l’orgoglio e la paura. E’ la più amabile, ma poiché è un impulso della nostra natura che non tiene conto dell’interesse pubblico, può produrre tanto il male quanto il bene.
Non vi è merito nel salvare un bambino innocente che sta per cadere nel fuoco: l’azione non è né buona né cattiva, e per quanto il bambino abbia ricevuto un beneficio, non abbiamo fatto altro che compiacere noi stessi. Vederlo cadere e non cercare di impedirlo ci avrebbe causato un dolore, che l’autoconservazione ha spinto ad evitare.
Ma gli uomini che senza assecondare alcuna loro debolezza sono capaci di rinunciare a ciò che per loro stessi ha valore hanno acquisito una nozione di virtù più pura di quello di cui si è parlato finora. Tuttavia, anche in essi (di cui peraltro il mondo non è mai stato affollato) possiamo scoprire sintomi di orgoglio; e anche l’uomo più umile deve riconoscere che la ricompensa di un’azione virtuosa consiste in un certo piacere che si procura contemplando il proprio valore.

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