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Studio antropologico: il dono è economia?


Donare è un gesto economico? Se ne occupa Mauss, con un modello apparentemente semplice. L’atto del donare si fonda su 3 fasi fondamentali: donare, ricevere, restituire. Cosa spinge gli uomini a donare? E cosa li spinge a restituire, visto che non sono tenuti a farlo?
Secondo il paradigma utilitarista, l’individuo tende a perseguire il proprio interesse individuale. Tale concezione deriva dall’idea che il rapporto sociale può e deve essere compreso come la risultante dell’intrecciarsi dei calcoli effettuati dai singoli individui; secondo il paradigma collettivista, l’individuo viene visto come assoggettato alle regole della sua cultura e della sua società. In questo caso è la cultura a far sì che gli uomini si scambino doni affinchè la società possa continuare ad esistere: sono quindi i legami sociali che spingono gli uomini a donare.
Dipingendo gli esseri umani come individualisti e tesi solo a soddisfare i propri interessi, si pensa che abbiano caratteristiche predeterminate di egoismo, quasi genetiche; nel caso dei collettivisti, si arriva a concludere che cultura e società preesistono all’individuo. Per non cadere nella contraddizione, Caillè propone un terzo paradigma, il paradigma del dono, ponendo la questione quasi in termini di scommessa: se fosse proprio il dono l’elemento attraverso cui gli uomini creano la loro società? Il dono diventa promotore di relazioni; ciò che apre la strada al dono è la volontà degli uomini di creare rapporti sociali, perché l’uomo non si accontenta di vivere nella società e di riprodurla come gli altri animali sociali, ma deve produrre la società per vivere. Questo paradigma non propone solo il dono come elemento fondante della società primaria, ma costringe a spostare in avanti il livello di lettura del valore di beni e servizi. Nell’economia classica, si sostiene che beni e servizi da un lato hanno un valore determinato dai bisogni che riescono a soddisfare (valore d’uso), dall’altro valgono in base alla quantità di denaro o di altri beni e servizi che si riescono ad acquistare (valore di scambio): accettando il terzo paradigma, bisogna aggiungere che esiste un altro tipo di valore, quello legato alla capacità che hanno beni e servizi, se donati, di creare e riprodurre relazioni sociali, che potrebbe essere chiamato valore di legame (il legame diventa più importante del bene stesso).
Il dono diventa quindi una prestazione di beni o servizi effettuata al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone, senza nessuna garanzia di restituzione. Il dono implica una forte dose di libertà: c’è l’obbligo di restituire, ma modi e tempi non sono rigidi, anche perché si tratta di un obbligo morale, non perseguibile per legge né sanzionabile. Il valore del dono sta nell’assenza di garanzie da parte del donatore, che presuppone quindi una grande fiducia negli altri. Il valore del controdono sta nella libertà: più l’altro è libero di scegliere, più sarà prezioso quello che ci donerà. La sua esasperazione, però, può arrivare a mettere in moto un processo opposto: un ritardo eccessivo o un dono inferiore a quello ricevuto suscitano disagio e generano un asimmetria nel rapporto, arrivando ad essere un’arma di distruzione, che verrà usato per colpire, umiliare, distruggere il rivale (ad esempio, il caso dei potlatch, dove i protagonisti facevano a gara a chi riusciva ad offrire di più). Altra situazione si ha nel caso di donazioni a fondazioni o associazioni di beneficenza dove il donatore a volte non conosce personalmente il destinatario, non creando quindi alcun legame diretto.
Debito è una parola che non amiamo, perché lo si associa alla sfera economica, mentre il dono rientra nella sfera affettiva: donando, però, si genera debito, creando uno squilibrio. Dono e controdono dovrebbero portare a un equilibrio, ma allo stesso tempo generano una sorta di conflitto permanente: l’equilibrio di un gruppo non nasce per forza da uno stato di inerzia, ma da una serie di conflitti interni controllati.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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