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Il progetto industrialista di Ferraris


Le cose però cambieranno.
Nel periodo precedente alla Prima guerra mondiale gli imprenditori italiani furono conquistati dalla politica dei nazionalisti declinata da Dante Ferraris, che li richiamava all’orgoglio collettivo e esaltava il loro ruolo sociale.
La guerra accelera il progetto industrialista di Ferraris. Imprenditori, sindacalisti riformisti e rappresentanti delle istituzioni collaborano per la mobilitazione industriale.
Fra il 1916 e 1917, quando la dinamica della guerra cede il passo alla ricostruzione dell’economia europea, cambia anche lo schema del patto fra i produttori. Il nazionalismo di destra viene sostituito da un radicalismo tecnocratico. Si cerca una sorta di corporativismo pluralistico che si regge sull’intesa tripartita fra Stato, imprese e sindacati operai e trova il suo laboratorio sperimentale nella progettazione del welfare. Esso, insieme alla giornata lavorativa di 8 ore, lo strumento che gli imprenditori hanno per fare dell’industria una grande comunità sociale, unificata da una convergenza di interessi oltre che dalla meccanica della produzione.
La regolazione istituzionale e l’intervento pubblico sono essenziali per la politica di welfare. L’ammodernamento dello Stato che ha innescato la guerra ha il suo primo banco di prova nella politica sociale rivolta ai lavoratori.
Proprio la nuova rappresentanza degli imprenditori, la Confindustria guidata da Ferraris fra il 1919 e il 1920, si basa sull’intenzione di instaurare un inedito ordine economico e sociale. Viene negato ogni individualismo egoistico a favore della ricerca di un indirizzo collettivo: inaugurare un nuovo corso all’insegna del produttivismo per legittimare le forze collettive necessarie ad allargare il processo di governo dell’economia. La Confindustria diventa una vetrina nella quale gli industriali espongono i loro uomini migliori per eventuali funzioni di governo.
Fra il 1919 e il 1920 la politica del patto dei produttori raggiunge l’apice per poi decadere subito.
Il sindacato, infatti, comincia a criticare il fatto che la fabbrica continui a essere soggetta al potere esclusivo dell’imprenditore. Di colpo il tema della partecipazione operaia viene posto all’ordine del giorno fino ad arrivare all’agitata primavera del 1920 quando la situazione precipita verso l’occupazione delle fabbriche.


Tratto da L'ITALIA DELLE FABBRICHE di Cristina De Lillo
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