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Polibio

Polibio (Megalopoli 200 a.C. – Roma 120 a.C.)
Storico: rappresenta un’eccezione rispetto agli storici del suo tempo
È l’autore che incarna il momento d’unione tra la cultura greca e quella romana.
Fu uomo politico: partecipò attivamente alla Lega achea, grande alleanza politico – militare del III secolo. Nel 169 a.C. fu eletto ipparco.
Dopo la vittoria di Pidna (168 a.C.), ottenuta da Lucio Emilio Paolo contro il re Perseo di Macedonia, Polibio fu portato a Roma dove ottenne la protezione degli Scipioni, famiglia dell’aristocrazia romana molto influente che aveva creato attorno a sé un fervente cenacolo intellettuale: il “Circolo degli Scipioni”.

La sua fama è legata alle “Storie” :
- In 40 libri (solo i primi 5 sono intatti; degli altri si conservano dei frammenti).
Narra gli avvenimenti dal 220 a.C. (scoppio della prima guerra punica) al 144 a.C. (distruzione di Cartagine).
- L’opera non è una semplice esposizione dei fatti: è presente anche un’analisi (VI libro) sulle cause che hanno condotto Roma, le sue istituzioni e le sue armi a conquistare tutto il mondo allora conosciuto. Rifacendosi a teorie platoniche, ma soprattutto aristoteliche, distingue 6 forme di governo e le separa in 2 gruppi:
1. Forme buone: monarchia, aristocrazia, democrazia
2. Forme degeneri: tirannide, oligarchia, demagogia
Esse si alternano l’un con l’altra, dando il via ad un ripresentarsi ciclico delle forme di governo.  
Il successo di Roma è dovuto al fatto che solo le forme buone di governo si alternano l’un con l’altra senza che nessuna prenda il sopravvento e determinando un equilibrio stabile.
- Nel XII libro espone quella che è la sua idea di storia che lo pone in polemica con gli storici contemporanei:

La sua è una “Storia pragmatica” che si basa sui seguenti punti fermi:
1. L’opera storiografica deve essere il più oggettiva possibile: deve ricercare una verità universale e non ha nulla a che fare con la tragedia e con l’esaltazione di singoli uomini.
2. Di conseguenza lo storico deve avere esperienza diretta degli eventi che intende narrare.
3. Lo storico deve avere esperienza diretta delle cose politiche e militari: chi non si intende di esse, infatti, non sa descrivere come si conviene quanto avviene in battaglia o nelle decisioni politiche e la sua opera riesce inutile ai lettori.
4. L’opera storiografica deve essere un utile insegnamento per tutti, in quanto la storia è magistra vitae.  
- Vista la sua concezione di storia, il suo stile risulta molto contenuto: non per niente è stato definito “stile cancelleresco”, uno stile che evita volutamente gli orpelli retorici e la magniloquenza del lessico.
- Il pubblico cui rivolge la sua opera è molto ristretto: è un pubblico di “tecnici”, di esperti che si accosta all’opera storica più per l’utile che possono ricavarne che per il diletto.

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