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Husserl. Intenzionalità come possibilità di esistenza


Qui entra in gioco il concetto di intenzionalità. L’intenzione non è da intendere nel senso comune (ossia “ho intenzione di”); in latino il concetto è legato al “tendere l’arco”. Husserl ha sviluppato questo concetto: una delle caratteristiche fondamentali della nostra mente è quella di entrare in relazione con il mondo. Ma qual è la differenza tra un “sasso” e un “sasso percepito”? il “sasso” è e basta; il “sasso percepito” poteva essere qualcos’altro in base alla percezione. In questa relazione quindi l’intenzionalità crea delle possibilità di esistenza: io posso vedere la cosa in modi completamente diversi. L’oggetto rimane quello che è, ma l’entrare in relazione con un essere senziente in grado di percepirlo può significare (anzi quasi certamente significa) modificarlo. Quindi la nozione di intenzionalità, nonostante sembra metterci in contatto con il mondo reale, non ci dice nulla su di esso (non ha alcun valore cognitivo). Esso non ci da un giudizio sul mondo ma solo una rappresentazione; e il primo non può basarsi sulla seconda. Qualsiasi conclusione a cui si arriva attraverso la rappresentazione è perciò doxa non episteme. Nel passaggio dalla rappresentazione al giudizio rimaniamo cmq per forza di cose sulla linea dei termini teorici. Il giudizio che si basa su una rappresentazione è di per sé sempre un azzardo.
Il sensibile per definizione è “bile” ossia pensato, non è sentito, quindi è un termine teorico, un modo dell’essere. Il mondo esterno è per noi un ente possibile. Il realismo ingenuo è quello diretto, quello cioè che pretende di asserire che ci che si percepisce è esattamente ciò che è. Il realismo come impostazione, se non vuole essere failone, deve essere rappresentativo cioè partire dalla consapevolezza che le nostre rappresentazioni non ci danno il mondo per quello che è.

Tratto da FILOSOFIA DELLA SCIENZA di Carlo Cilia
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