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Niccolò Machiavelli: Il Principe

La dedica a Lorenzo de’ Medici (nipote dell’omonimo e molto più famoso Lorenzo il Magnifico)


Nella dedica l’autore indica i due presupposti fondamentali dell’opera, i costituenti di base che l’hanno per così dire formata: la “lunga esperienza delle cose moderne”, garantita dalla sua attività diplomatica e politica di quasi quindici anni come segretario della seconda cancelleria fiorentina e dalla conseguente riflessione su quel mondo politico di cui era stato protagonista e testimone; e la “continua lezione delle cose antiche”: il motivo, sempre presente in Machiavelli, dell’esemplarità della storia antica, greca e soprattutto romana, oggetto di continua meditazione da parte di chi voleva trarne modelli di azione politica utili per il presente.


Capitolo XV – I motivi di lode o di vituperio per i principi


Verità effettuale: espressione con cui Machiavelli sottolinea l’oggetto della sua indagine: è la verità “vera”, quella che si manifesta con certezza nei suoi effetti, quella che si identifica con la realtà e non con l’immaginazione. È quindi rivendicato il primato di un’analisi costruita sui dati della realtà contro ogni riflessione astratta che si affidi ai fantasmi consolanti ma irreali dell’immaginazione; è la verità effettuale a permettere di individuare le regole della realtà politica e in conseguenza di elaborare una teoria dell’azione politica.Il principe per esercitare  e mantenere il potere deve saper essere, all’occorrenza, non buono. Occorrerebbe avere tutte le qualità considerate positive ma, non essendo questo possibile, è necessario evitare i vizi che potrebbero far perdere lo stato e non preoccuparsi di quelli senza i quali sarebbe difficile mantenerlo.


Capitolo XVII – Se un principe debba essere temuto o amato


La crudeltà, se esercitata nel nome dell’interesse superiore che lega il principe allo Stato, non è un difetto ma una qualità necessaria e utile; così come è utile l’essere temuti più che l’essere amati, proprio a causa dell’incostanza e del desiderio di perseguire il proprio interesse che fanno venir meno l’amore degli uomini.


Capitolo XVIII – il principe e la lealtà


Ci sono due modi di combattere: con le leggi e con la forza; il primo proprio dell’uomo, il secondo delle bestie. Ma il principe deve saper ricorrere anche al secondo perché, data la fondamentale e originaria malizia degli uomini, l’azione politica che non si fondi anche sulla “metà bestiale” risulterà effimera e inefficace, inadeguata a quella malizia. Sono queste due nature, umana e ferina, e la necessità della loro convivenza nel principe, a essere adombrate allegoricamente nella figura mitologica del centauro (metà uomo metà bestia), precettore di principi. Il principe cioè deve sapere usare bene entrambe le nature, quando questo è richiesto dalla necessità politica, così come, quanto alla parte bestiale della politica, deve servirsi delle sue due complementari manifestazioni, l’astuzia (volpe) e la violenza (leone)


Capitolo XXV – La fortuna


Fortuna: l’imprevedibilità delle circostanze, l’elemento irrazionale del caso, indipendente dalla volontà umana ma a cui la volontà umana, che si esplica nell’azione politica, può almeno tentare di opporsi. Si possono e si devono preparare le opportune difese, nei tempi quieti e di pace, in previsione di un mutamento della situazione.La fortuna può essere solo in parte influenzata dalla virtù, che deve saper cogliere l’occasione favorevole per approfittarne e insieme immaginare preventivamente come rimediare alle avversità della sorte. Ecco perché la fortuna è padrona solo di “metà” delle azioni umane: quella parte di imprevedibilità che non può essere controllata, ma contro cui l’animosità della virtù può sempre preparare dei ripari.Paragone fortuna = fiume in piena  nondimeno, se gli uomini sono previdenti e si preparano in tempo, è possibile trovare qualche rimedio alla furia delle acqueParagone fortuna = donna  la fortuna, come una donna, si può dominare: per tenerla sotto, bisogna batterla e urtarla. Come donna inoltre, la fortuna è amica de’giovani, si lascia perciò vincere più facilmente dai giovani, che sono più animosi e più audaci, piuttosto che da chi procede con incertezza e freddo rispetto.
Virtù: è un complesso di varie qualità, in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell’agire politico, ricavate sia dall’esperienza diretta sia dalla “lezione” della storia passata; in secondo luogo dalla capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni; infine la decisione, l’energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato.


Capitolo XXVI – Esortazione a liberare l’Italia


Invocazione ad un principe “redentore” affinché crei uno stato forte e tolga l’Italia dal “barbaro dominio” francese e spagnolo.

Figura di Cesare Borgia detto il Valentino

Machiavelli provava una profonda ammirazione per il condottiero Cesare Borgia che non nasconde all’interno della sua opera (cap. VII): era impressionato dalla capacità politica e militare del Valentino, dall’unione di “fortuna” e “virtù” nella sua personalità. Lo Stato della Chiesa, oltre che il Lazio, l’Umbria e parte delle attuali Marche, comprendeva allora anche la Romagna, ma si trattava di un potere solo formale perché in realtà la Romagna era frazionata in tante piccole signorie di feudatari locali, e viveva una situazione di anarchia generale di cui un condottiero audace e risoluto avrebbe potuto approfittare per formarsi una propria signoria. Ed è proprio questo l’obiettivo che perseguì Cesare Borgia, forte del supporto paterno (suo padre era papa Alessandro VI) e delle truppe francesi (aveva sposato la cugina del re di Francia). Occupata nel 1501 tutta la Romagna, conquistò in breve tempo parte della Toscana, suscitando l’allarme di Firenze. Tuttavia il lato debole della fulminea espansione del duca Valentino consisteva nella necessità di avere l’appoggio del pontefice.Egli fu colpito da “estrema malignità di fortuna” quando si verificò un caso assolutamente imprevedibile, e perciò non influenzabile dalla sua virtù: si trovò gravemente malato proprio nel momento della morte del padre, il suo potente sostenitore. Ma avrebbe ancora potuto farcela se non avesse commesso l’errore, imputabile a lui e non ala fortuna, di permettere l’elezione papale di Giulio II; se cioè, per una volta, non gli fosse venuta meno la virtù con cui forse sarebbe riuscito a controllare le maligne circostanze impostegli dalla fortuna.

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