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Riflessioni in merito all'offerta del festival Mediterranea

Se da un lato apprezzo l'idea dell'offerta multidisciplinare, dall'altro l'idea di Mediterraneo proposta mi sembra un po' troppo vasta e allo stesso tempo vaga. Mi spiego. Abbiamo letto che, nell'intento degli organizzatori, il festival ha lo scopo di favorire la comprensione e l'integrazione tra culture. Certamente gli incontri con esperti, scrittori, giornalisti internazionali – pensati comunque per un pubblico più che scolarizzato – possono ampliare le nostre prospettive su determinati temi. Non credo però che – per motivi diversi - la mostra di Linea d'Ombra sugli impressionisti o gli incontri gastronomici possano rientrare nell'intento di creare una "cultura intermediterranea": sembrano piuttosto operazioni commerciali (certamente ci vogliono anche queste!) dal sicuro ritorno economico ma che non aggiungono nulla di nuovo alla conoscenza di "culture altre" da parte della cittadinanza (sia italiana che nata all'estero).
Ho parlato del coinvolgimento delle Università nell'organizzazione dei dibattiti; se, però, nella dichiarazione di intenti "il Mediterraneo è lo scenario del nostro futuro", cosa è stato fatto per e con le scuole primarie e secondarie, ovvero sul terreno su cui si gioca in primis la partita dell'educazione civica? Perché solo un laboratorio è dedicato ai bambini (tra l'altro di sabato)? Cosa è stato fatto per gli adolescenti?
La storia: di Genova e del Mediterraneo, è poco presente nei temi degli incontri. È un peccato, perché la storia della città e dei popoli mediterranei potrebbe essere utilizzata nell'affrontare le urgenze del presente, come potente mezzo di contraddizione nei confronti degli odierni "stereotipi, pregiudizi e retoriche" dettati "dall'intolleranza e dall'ignoranza".
Si parla, come sempre di Africa in senso lato: con la mostra "Africa delle meraviglie", con le serate musicali a tema. Quando inizieremo a considerare nelle nostre politiche culturali che l'Africa non è una monade ma un continente complesso, multietnico e multiculturale?
Si pretende infine parlare di integrazione senza coinvolgere le rappresentanze delle minoranze etniche presenti a  Genova da decenni. Si tratta quindi di un discorso sull'integrazione (se lo è), imposto dall'alto, che seleziona un pubblico mediamente colto. È un discorso che può funzionare? Non sarebbe meglio, ponendosi l'obiettivo dell'interculturalità, dare spazio alle tante realtà che già operano sul territorio in merito a questi temi? Non sarebbe utile raccogliere su questo argomento le istanze provenienti dai gruppi di migranti che da diverse generazioni partecipano attivamente alla vita cittadina?

Tratto da SAGGIO SUL FESTIVAL MEDITERRANEA DI GENOVA di Isabella Baricchi
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