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Bergson e Deleuze. Immagine e inquadratura


In Bergson un concetto chiave è “immagine”, che è definita come “esistenza” intermedia tra cosa e rappresentazione; Deleuze definisce “inquadratura” la determinazione di un sistema chiuso che definisce ciò che è presente nell’immagine, “quadro” l’insieme delle relazioni tra le parti e tra esse e un punto di vista; il quadro può essere “saturato” (cinema classico) o “rarefatto” (Antonioni, Ozu) in base alla quantità di informazioni contenute nell’inquadratura, e la composizione può essere “geometrica” o “fisico-dinamica” in base alla concezione applicata, di “astrazione” o “immedesimazione”; l’inquadratura può essere “narrativamente motivata” (Ford) o “espressivamente motivata” (“décadrage”, disinquadratura), e ogni inquadratura in quanto campo definisce un fuori campo relativo (il non inquadrato) e uno assoluto (che definisce una contrapposizione tra un “qui ed ora” ed un’alterità); il “piano”, a differenza del “quadro”, definisce la dimensione non spaziale ma temporale.
L’immagine, in quanto “ciò che appare”, forma con tutte le altre immagini un “piano di immanenza” in cui l’immagine è movimento ed è materia-flusso. Tra immagine-percezione e punto di vista si può avere un rapporto oggettivo (istanza narrativa) o soggettivo (personaggio), e Deleuze analizza la soggettiva libera indiretta (Pasolini) per concludere che tra soggettivo e oggettivo c’è indistinzione, così come tra percezione umana e totale (della materia) in base alle forme di “liquidità” (cinema francese) e “gassosità” (cinema sovietico). L’immagine-affezione si articola sulla “volteità” e sulla “qualsiasità”, ossia su volto e spazio qualsiasi, ed è il primo piano, in cui si blocca il movimento di traslazione e si esplica una “tendenza motrice” che genera un movimento di espressione; si ha un “volto riflettente” che allude al moto dell’anima destinata a tradursi in azione (Griffith) e un “volto intensivo” che esprime qualità estatiche (Eisenstein), ed il primo piano esprime una qualità pura, una “primità” astratta dal contesto spazio-temporale ma anche dall’identità dell’oggetto, agevolando l’identificazione dello spettatore con un personaggio reso qualità astratta (il volto perde così ogni qualità socializzante).

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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