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I servizi sociali nel nord Italia degli anni '50



Le città settentrionali erano assolutamente impreparate per un afflusso così massiccio, e le famiglie immigrate erano pertanto costrette a vivere, proprio negli anni del boom economico, in condizioni estremamente precarie. A Torino si trovava alloggio negli scantinati e nei solai del centro, come nelle cascine abbandonate e negli edifici destinati alla demolizione. Frequentissimi gli atteggiamenti discriminatori e i fenomeni di non affitto a Meridionali.
A Milano e nelle cittadine ad essa periferiche, gli immigrati trovarono una diversa soluzione al problema della casa con la costruzione delle coree, senza alcun permesso urbanistico, su terreni agricoli comprati coi loro risparmi.
L'assistenza sanitaria era a mala pena sufficiente anche prima dell'afflusso di immigrati, con conseguenze prevedibili. A Torino ci fu un'impennata della mortalità infantile e l'inadeguatezza di infrastrutture si tradusse ben presto nel disinteresse totale dell'amministrazione pubblica, che abbandonava gli immigrati alla carità di privati o della Chiesa.
Le scuole furono il filtro attraverso il quale una generazione di bambini meridionali imparò l'italiano. Il divario era così ampio che anche chi aveva compiuto i primi studi elementari al Sud doveva essere retrocesso di una o due classi.
Solo tra la metà e la fine degli anni '60 le cose sembrarono migliorare: a Milano le imprese private avevano finito la costruzione di enormi palazzoni che diedero un tetto a migliaia di famiglie immigrate. Erano quartieri senza nulla: negozi, biblioteche, uffici postali, trasporti pubblici, giardini e strutture per anziani; comunque un paradiso per chi aveva visto, fino ad allora, l'inferno.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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