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Il governo comunista in emilia romagna - 195576 -

L'Emilia – Romagna è stata da sempre la roccaforte del potere comunista in Italia. Perché? Non si trattava certo di una regione dove dominava l'industria pesante, bensì la piccola azienda, gli artigiani, i mezzadri e i braccianti. Prima del 1860, però, essa aveva fatto parte dello Stato pontificio e l'ardente anticlericalismo che derivava dall'abuso papale del potere temporale ebbe sicuramente la sua parte. Le leghe bracciantili, poi, avevano una lunga tradizione di agitazioni sociali e all'epoca della Grande Guerra si era ormai stabilita una imponente tradizione socialista e cooperativistica. Dopo il fascismo furono i comunisti a prendere il posto dei socialisti. Ciò perché essi avevano avuto un ruolo preponderante nella Resistenza emiliano – romagnola, perché godevano del credito popolare indiretto di cui beneficiava l'URSS come liberatrice del nazismo, infine perché grazie ad essi la strategia delle alleanze sociali era andata in porto. L'Emilia – Romagna era, infatti, una regione ancora prevalentemente agricola e l'impegno comunista nella lotta dei mezzadri fu un momento cruciale della loro politica; lo stesso può dirsi per l'attenzione rivolta ai contadini dell'Appennino, in prevalenza piccoli proprietari cattolici.
Progressivamente i comunisti ottennero anche il controllo sul movimento cooperativistico, fortissimo nella regione ancora prima del fascismo e grande ruolo ebbero anche le donne comuniste, responsabili di alcune iniziative di grande risonanza a livello nazionale: l'ospitalità ai bambini poveri di Roma, Napoli e delle zone montuose della loro regione e l'accoglimento degli sfollati post esondazione del Polesine.
Bologna divenne la vetrina del governo comunista degli enti locali, con sindaco Giuseppe Dozza, così popolare nei suoi lungimiranti provvedimenti di gestione della città da battere nel 1955 il popolarissimo Giuseppe Dossetti. IL 1956. Fu un anno di cambiamenti radicali per la sinistra italiana: Kruscev, al XX Congresso del Pcus, nella relazione pubblica per la prima volta invitava alla possibilità per i paesi di giungere al comunismo per vie differenti, mentre nella relazione privata denunciava gli orrori stalinisti, assestando un colpo epocale al PCI, di cui si fecero immediatamente forti le destre. Il PCI reagì con estrema reticenza mentre Togliatti minimizzò l'importanza delle rivelazioni, mentre in seguito, nella famosa intervista su Nuovi Argomenti, sfoggiò tutta la sua sofistica strategia criticando i dirigenti sovietici non per aver fatto le rivelazioni ma per non essere andati abbastanza avanti. Essi, sosteneva, si erano limitati a denunciare i fatti e a parlare di degenerazioni nella società sovietica trascurando tuttavia il difficile tema del giudizio storico complessivo. Togliatti, insomma, chiedeva loro come fosse possibile che in una società socialista a Stalin fosse stato possibile fare tutto quello che ora loro denunciavano.
Questa intervista fu importante anche perché Togliatti introdusse per la prima volta il concetto di policentrismo, dimostrando da tempo di voler aumentare la libertà d'azione dei singoli partiti comunisti d'Europa. Il dirigente, comunque, pur palesemente informato sui crimini commessi, negò qualsiasi conoscenza in merito e riaffermò l'intrinseca superiorità del sistema politico sovietico rispetto alle democrazie parlamentari occidentali. Stalin era stato solo un incidente di percorso. Dopo le rivelazioni di Kruscev, arrivarono i massacri polacchi di Poznan in seguito ad una insurrezione operaia, nei confronti della quale la CGIL di Di Vittorio espresse massima solidarietà mentre il PCI continuò ad allearsi con Mosca. La rivolta ungherese e la successiva repressione fu appoggiata dal PCI, che si pronunciò in favore del massacro sovietico.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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