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La morte di Togliatti, 1964

La morte di Togliatti, 1964


Togliatti morì a Jalta il 21 agosto 1964. Si era recato in URSS per incontrare Krusciov. È tempo di un generale bilancio della sua attività. Aveva sicuramente guidato il partito in maniera estremamente valida, trasformandolo da un piccolo gruppo di militanti nella più vasta organizzazione comunista del mondo occidentale; la costruzione del PCI come partito di massa fu sicuramente il suo più grande successo. Se è vero che le circostanze del periodo postbellico gli furono favorevoli allo scopo, non è corretto dire che il successo fosse predeterminato: l'insuccesso del PSI stava lì a dimostrarlo.
Fece sì che l'avventurismo non prendesse piede nel partito, conscio com'era che le tentazioni insurrezionali avrebbero avuto conseguenze catastrofiche; optando per un cauto strategismo gramsciano, riuscì a insediare il PCI nella società civile e a combattere una lunga guerra di posizione. Nel 1956, all'indomani delle rivelazioni sugli orrori stalinisti, fu sicuramente il dirigente che si spinse più avanti nel riconsiderare la storia e la strategia del comunismo internazionale, manifestando l'idea del policentrismo, superando gli schemi ideologici della guerra fredda e spingendo per una maggiore libertà culturale e di dibattito all'interno del partito.
I risultati di Togliatti furono notevoli, ma sarebbe errato accettare l'acritico e agiografico giudizio che dette di lui il PCI. Molti furono anche i lati negativi. La lunga esperienza che Togliatti ebbe come luogotenente di Stalin influenzò pesantemente la sua azione politica post 1945, con tratti profondamente autoritari, gerarchici e assolutamente antidemocratici. Egli vide sempre la politica della classe operaia dall'alto verso il basso, convinto com'era che fosse la direzione del partito ad avere l'ultima parola. L'azione autonoma della classe operaia, per lo stesso motivo, era incoraggiata ma entro certi limiti. L'organizzazione stessa del partito era verticistica e basata su un lungo sistema di ingranaggi.
Togliatti fu un uomo autoritario e ostile ad ogni opposizione; compiacente nel permettere che si creasse attorno a lui un mito della personalità. Aderì servilmente alla propaganda russa del centralismo democratico negli anni 1944 – 1956.
Va poi notata la cosa più importante di tutte. Nel 1964, alla sua morte, non esistevano ancora elementi sufficienti per chiarire se la cosiddetta via italiana al socialismo avesse un significato concreto che andasse al di là delle semplici affermazioni di principio. La visione di una graduale e possibilmente pacifica transizione al socialismo, con la classe operaia che diventava lentamente classe dominante, suscitava almeno due ordini di dubbi:
-  I già ampiamente dibattuti ostacoli alle riforme radicali, impossibili da realizzare per l'opposizione del governo.
- La concreta capacità del PCI di mantenere indefinitamente una visione politica alternativa. Più a lungo il partito navigava nelle acque relativamente calme della democrazia italiana, più diventava probabile una sua trasformazione interna e una sua lenta deviazione dall'antica rotta della trasformazione socialista della società. Anzi, col passare degli anni, si evidenziava l'integrazione del PCI nel sistema politico, una sua maggiore moderazione nel fissare gli obiettivi di lotta, un ammorbidirsi del suo linguaggio polemico. La via italiana sembrava condurre dunque non al socialismo ma a una scelta tra due sbocchi egualmente indesiderati: insistendo sulle rifome di struttura si rischiava di innescare uno scontro da guerra civile, mentre accettando il lento e costante processo di integrazione si sarebbe giunti prima o poi ad autoconfinarsi in un ruolo più limitato di forza progressista, sul modello delle socialdemocrazie europee.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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