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La strategia della DC al potere dal 1947


La DC fu l'unico partito europeo occidentale ad essere rimasto al potere senza interruzioni dal 1947. Il risultato è stato un livello formidabile di fusione tra il partito e lo Stato. La continuità e la permanenza del potere democristiano ebbero, naturalmente, delle inevitabili conseguenze sul terreno dei rapporti tra partito e Stato. La continuità non significa però che la DC sia stata capace di agire come un corpo politico unitario, anzi, conflitti e tensioni furono costanti almeno a tre livelli:
- Ideologico → la tradizionale teoria sociale cattolica convisse con difficoltà con l'individualismo liberale. La DC abbracciava in teoria la solidarietà, la carità, l'associazionismo, l'assistenza ai deboli, ma in pratica la maggioranza del partito abbracciò senza riserve la causa della modernizzazione, di chiara influenza americana, basata sui valori della libertà individuale, del libero gioco delle forze del mercato e così via.
- Rappresentanza di interessi → c'era un interclassismo complesso da gestire, pretendendo il partito di rappresentare sia gli interessi del grande capitale sia quelli, più variegati, dei ceti medi urbani, senza sacrificare i valori del lavoratori cattolici.
- Organizzazione interna → molte erano le correnti interne al partito, specialmente dopo la morte di De Gasperi. Il prevalere della corrente di Amintore Fanfani, Iniziativa democratica, mascherò un po' questo problema, almeno fino al 1959, quando la spaccatura all'interno della corrente porterà alla scissione tra Dorotei e Nuove cronache.
Sarebbe comunque errato sostenere che la DC inventò la frammentazione dello Stato italiano; le burocrazie parallele, come abbiamo visto, c'erano già prima. È pur vero che la DC ampliò la frammentazione, instaurando uno stile di governo basato su un correntismo feroce, animato dalla ricerca del maggior consenso possibile, basato sia sulla prassi delle alleanze interpartitiche sia sull'utilizzo delle risorse dello Stato. Questa guerra ridusse notevolmente sia il ruolo del Consiglio dei Ministri, sia il ruolo del Parlamento, che promulgò centinaia di leggi non di interesse nazionale ma di interesse particolare, quando non individuale.
Dall'altra parte la lotta intestina della DC non le impedì di ridurre a miglior consiglio due delle forze della società che sino ad allora erano state vitali per il suo stato di salute: la gerarchia ecclesiastica e il capitale privato. Fanfani, come prima di lui De Gasperi, rafforzò molto l'indipendenza del partito dalle gramaglie del Vaticano, rendendolo libero rispetto alle prese di posizione di Azione Cattolica. Per quanto riguarda i rapporti con l'impresa privata, fecero del partito stesso un centro fondamentale del potere economico, espandendo l'intervento economico dello Stato con la creazione di nuovi enti come la Cassa per il Mezzogiorno e l'Eni, e giungendo al culmine con la significativa nascita nel 1956 del Ministero per le Partecipazioni statali, voluto dal primo governo Segni (e poi abrogato col referendum del 1993) e con l'ancor più significativa uscita dalla Confindustria, nel 1957, di tutte le aziende controllate dall'IRI. Un atteggiamento pesantemente inviso a tutti i settori più arretrati dell'industria privata, consapevoli, a ragione, del fatto che in tal modo veniva rapidamente minata la loro posizione lobbistica. L'Eni, in particolare, fu una delle più grosse spine nel fianco. Tali industriali risposero con la creazione della Confintesa, che avrebbe dovuto raccogliere le élites ostili alla DC e raccogliersi attorno ai liberali o alla destra democristiana; un esperimento fallito quasi immediatamente.
Sarebbe comunque un errore presentare la strategia della DC come se fosse in qualche modo sistematica, essendo il partito troppo frammentato perché ciò potesse avere luogo. L'autonomia della Banca d'Italia, cuore della vita economica nazionale, rimase indipendente, a riprova dell'incapacità della DC di pilotare organicamente un movimento sistematico di coercizione economica.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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