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La struttura di classe negli anni del boom in Italia



Gli anni del miracolo economico portarono naturalmente alcuni cambiamenti radicali nella composizione di classe della società italiana. Il primo grande mutamento che colpisce è il netto declino della forza – lavoro attiva che dal 1951 al 1971 cadde dal 42 al 35%. Due sembrano le cause maggiori di questo declino:
- Il ruolo delle donne nel mercato del lavoro. La maggioranza di esse, considerate forza – lavoro attiva nell'agricoltura prima dell'esodo dalle campagne, non trovò una piena occupazione nei nuovi insediamenti urbani. Molte lavoravano a domicilio e come tale venivano classificate come casalinghe.
- Le sempre limitate prospettive occupazionali al sud che le cattedrali nel deserto non mutarono di certo.
Analizzando più in dettaglio i diversi settori della società italiana vediamo che la classe imprenditoriale subì una trasformazione considerevole. Portavoce di questo ceto era la ultraconservatrice Confindustria, ostile ai mutamenti della CEE, dello Stato e persino della Cisl. Non tutte le industrie condividevano questa linea, specialmente quelle più giovani e dinamiche come la Fiat. A livello delle piccole fabbriche era nata una nuova generazione di industriali, con cultura e istruzioni limitate ma dotate di grande audacia e intelligenza, pronte a girare tutto il mondo in cerca di mercati adatti ai loro prodotti.
Della classe professionale si sa ben poco. Avvocati, architetti eccetera aumentarono sicuramente il loro prestigio come salirono alla ribalta nuove professioni legate ai settori della pubblicità, del marketing, della ricerca scientifica. Nel settore statale i posti professionalizzati rimanevano comunque esigui, data la mancanza di riforme in campo sociale o educativo.
La classe impiegatizia conobbe l'espansione più rapida di tutte; la classe operaia crebbe. I sottoccupati intanto erano ancora moltissimi.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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