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La critica individualista del Vasari

La critica individualista del Vasari


Tutto quello espresso finora mostra come Vasari utilizzi un vocabolario che appartiene alla dimensione letteraria e che nemmeno lui abbia le idee chiarissime. A seconda della sua attitudine, ora naturalista, ora classico idealista, cambiano i suoi criteri. Nella Vita del Tiziano dice che l'arte è qualcosa di assolutamente diverso dalla natura, malgrado l'imitazione di questa. Il tema della natura purificata ricorre spesso sostenuta dal criterio di selezione, per mezzo della quale si giunge alla grazia e alla perfezione che la natura in sé non può avere.
Ma anche qui Vasari mostra di non essere conseguente. Ha vagamente l'idea che la maniera, vale a dire lo stile dell'artista, sia il suo atto personale. Cita una notevole espressione di Michelangelo che l'artista non può essere superato che da sé stesso, cioè che non si può paragonare che con sé stesso. È il punto cardine della cosiddetta critica individualistica, ciò che oggi chiamiamo insularità dell'opera d'arte. Vasari a volte vince la sua dottrina del progresso storico assoluto e osserva bene il momento artistico, mettendolo in rilievo con amore. Qui parla non più il teorico ma l'artista, e va molto meglio. Gli accenni alla critica interna sono timidi nel Vasari. Mitologizza quasi sempre, fedelmente al suo modo pragmatico di narrare le cose. Quello che in Vasari si può definire psicologia dell'artista p ancora embrionale. Ciò che dice, ad esempio, sulla “timidità” dello spirito e su una “certa natura dimessa” di Andrea del Sarto, derivano molto di più dalla sua vita che dalle sue opere. È ingenuo anche attribuire le figure manierate di Parri Spinelli, le loro espressioni spaventate, ad una triste esperienza del pittore, che una volta era stato vittima di un'aggressione. Rimane però un pensiero giusto, anche se in forma ingenua: l'unità della personalità dell'artista con la sua opera, in quanto espressione di essa. Vasari sbaglia nel distillare le qualità morali di un autore dalle sue opere, come fa con Andrea del Castagno e le sue figure con l'espressione rabbuiata e dispettosa che ben si accordano col tipo rozzo e selvaggio che Vasari ha tratteggiato.
Vasari ha un concetto di arte che dipende dalle idee del suo tempo. Non possiamo attribuirgli, innanzitutto, il nostro modo di vedere, evolutosi dal 1700 in poi. Vasari dipende in questo campo, come tutto il Rinascimento, dal Medioevo. Vediamo come.
Nella vita dell'Albertinelli dice con disinvoltura che egli è passato dalla pittura ad un arte più bassa, quella dell'oste. La professione culinaria una volta figurava tra le artes mechanicae non troppo lontano dalle arti figurative. Ora, è vero, l'arte alta si è costituita in accademie e si è separata dall'artigianato, ma è anche vero che per tutto il 1400 e in parte anche nel 1500 questi due rami erano uniti anche nel lavoro delle botteghe.
L'arte dell'intarsio, messa dal Pollaiuolo come ottava delle arti, ora è liquidata come bassa occupazione. Lo stesso dicasi per il ricamo, figlio della grande arte tessile; per l'arte del marmismo e la decorazione di cassoni, che per tutto il Quattrocento erano stati tra i rami più lucrativi.
Il Cinquecento eredita idee antico – medievali della borghesia, solo con un senso nuovo. Il problema è qui, ancora una volta, la separazione tra forma e contenuto: è l'invenzione, il soggetto, che decide prima di ogni altra cosa il valore e la dignità dell'opera d'arte.
Appare chiaramente la supervalutazione del mezzo artistico e il vantaggio tecnico, soprattutto quello del proprio tempo, come criterio di valutazione. La misura spaziale delle superfici piane diventa il criterio di altezza dell'arte. L'affresco è l'arte più grande e virile, assolutamente superiore al quadro da tavola. La tecnica da tempere viene valutata poco, liquidata come cosa del tempo passato, anche se poi finisce per difenderla in altri punti del libro. È chiaro che Vasari è combattuto tra l'idea progressista dell'epoca e il suo volere personale.
Tutto ciò si adatta col programma manierista che il Vasari scrive, nella Vita del Lappoli, con tutto il suo ingegno. È richiesto:
- ricchezza dell'invenzione, quindi, in primo luogo, importanza del contenuto.
- Dominio perfetto del nudo, la cui eccessiva ostentazione in questo tempo è fin troppo nota. Troppo spesso, dice Vasari, spuntano nudi che sono solo comparse fuori luogo in grandi dipinti che non hanno con loro nessuna attinenza.
- La facilità, cioè la vera abilità del virtuoso, cioè il dipingere con leggerezza e con perfetto dominio del materiale. Esempio: la sua storia di Ester, in Arezzo, lunga 12 braccia (ogni braccio oscillava tra i 0,58 e gli 0,70 m) e fatta in soli quarantadue giorni.


Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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