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Federigo Tozzi – La capanna

Federigo Tozzi – La capanna


Le migliori novelle di Tozzi sono probabilmente il punto più alto da lui raggiunto. E si comprende: scrittore sempre ellittico e a strappi, sempre in stato di tensione, non poteva che esprimersi meglio nella forma – racconto che nel romanzo. La capanna, pubblicata nel 1919 in rivista, è uno dei suoi capolavori, incentrato come spesso in lui sul rapporto e conflitto tra figlio e padre (che è anche altre cose, per prima Dio), qui con sfumature ancor più ricche del consueto nella compresenza di odio e amore. Ed è un tema che appare insieme un referto esatto della società contadina toscana dei suoi tempi e un punto archimedico del suo vivacissimo interesse per la psicologia, con letture che vanno da Walter James a Freud stesso. Tuttavia nel vero e originalissimo scrittore che Tozzi è stato non dobbiamo aspettarci né illustrazioni di casi psicologici né descrizioni analitiche della psiche di un personaggio: da prosatore scorciato e sussultorio, si direbbe che il maggior travasamento narrativo della psicologia moderna sia in lui la divaricazione, propria di tanti personaggi che ha messo in scena, fra pensieri o sentimenti e azioni, sicché i primi si condensano morbosamente nella psiche mentre le altre assumono spesso un carattere del tutto casuale, prima ancora che fallimentare, e quasi scisso dal soggetto stesso.Conviene per prima cosa esplorare alcuni caratteri tipici, e cioè sempre gli stessi in lui, della scrittura di Tozzi. Senesismi e in genere toscanismi: escire, moveva, ritto, uscio. E poi le idiosincrasie grafiche tozziane, come la scrizione separata in a pena, né meno, sopra a tutto. Siamo già nella zona delle scelte stilistiche con la messa in rilievo di avverbi o espressioni avverbiali spostati dalla loro posizione abituale: né meno, un poco, invece. Una punteggiatura fitta e pesante che determina un procedere per continui incisi, i quali accrescono l'andamento franto e contorto del discorso: virgole non necessarie (21, 92); punti e virgola in luogo di virgola o anche di niente non solo a separare coordinate (24,47,69) ma pure fra la principale e una subordinata o un complemento (22, 32, 41, 42); i due punti perdono la loro funzione gerarchizzante per valere come semplice segno di staccato (13, 19,87).Nell'assieme è una prosa accanitamente paratattica, ma non lineare, piuttosto a singhiozzo: le frasi – periodo, slegate l'una dall'altra dall'asindeto, possono raggiungere questa brevità: Vieni: te li lavo io: ti farà bene (19).In queste condizioni, sono fondamentali le congiunzioni e gli avverbi di transizione, che Tozzi tende ad usare in modo non marcato, come meri passaggi sfocati da una situazione all'altra: Allora gli venne da piangere; Ora egli voleva stare sempre con il padre. Gli stessi stacchi oppositivi più decisi, col ma o equivalenti, oltre alla loro funzione normale acquistano quella di segnalare il contrasto tra pensiero o impulso e azione, o fra due diverse pulsioni: ma il padre, vistolo, lo minacciò di picchiarlo più forte. Tuttavia la sua voce era dolce.Sono una specie di ossimori sintattici, che rispondono a quelli lessicali: Egli si sentì come lacerare tutto, con un piacere rapido; e sono comunque un indice di ciò che sempre Tozzi mette in pagina, la discontinuità fra l'uno e l'altro pensiero, l'uno e l'altro atto, razionalizzando in modo esplicito ciò che, della sintassi spezzata dominante, la sottrae al puro stile per farne un segnale di quella tensione – spesso silenziosa – fra gli esseri umani che è al centro della sua percezione del mondo. Analogamente, fra le congiunzioni subordinative o coordinative, prevalgono quelle che indicano contemporaneità o mera e immediata successione. Non è troppo dire che Tozzi abolisce i rapporti di causa ed effetto per quelli di mera constatazione, in contemporaneità o in semplice accostamento temporale.Nel lessico l'espressionismo tozziano, controparte omogenea di questa frantumazione sintattica, qui è forse meno accusato che altrove, salvi i consueti effetti di gestualità e teatralizzazione (battendosi le mani sul petto); ma risplende nel paragone, come spesso deumanizzante, di 83 – 85 . accostiamoci dunque al contenuto di questo finale di novella. Che conferma e insieme rovescia l'ambiguità del rapporto figlio – padre. Spartaco minaccia di picchiare più forte Alberto ma la sua voce è dolce, gli rinfresca e asciuga gli occhi, e poche sue parole gentili fanno sì che il figlio si ritrovi a voler stare sempre con lui e aiutarlo, perché non può fare a meno di essergli vicino. È sintomatico che al ritorno dal collegio trovi il padre morto, non potendolo così uccidere metaforicamente. Quando Alberto fa l'amore con Concetta nella stessa capanna, ripetendo esattamente l'azione del padre, lì inizia ad assicurarsi di essere come lui. Dopo quanto abbiamo visto, non è tanto una detronizzazione quanto un'identificazione sostitutiva.Non meno interessante è la tecnica narrativa del racconto, spezzata come la sintassi: le frequenti ellissi ed analessi contraddicono l'ordine della fabula. Debenedetti aveva detto: il naturalismo rappresenta in quanto spiega, e viceversa; Tozzi rappresenta in quanto non sa spiegare. È il suo grande punto di forza.


Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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