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Iacobo Sannazaro – Desolazione di Sincero e del mondo


Proprio con Sannazaro si metterà in moto un deciso avvio all'accoglimento della norma toscana sia nel verso sia nella prosa. Mentre una prima redazione, che risale al penultimo decennio del secolo, ha ancora un forte colorito napoletano, l'edizione definitiva, preparata dall'autore intorno al 1500 e pubblicata da Summonte nel 1504, è già vicina al toscano letterario. Il raffronto tra le due redazioni permette di esaminare a un preciso traguardo non solo l'opera dello scrittore, ma in genere, le tendenze del suo tempo. Le tre componenti principali (forme e vocaboli dialettali più o meno dirozzati; forme toscane letterarie attinte quasi tutte da Petrarca e Boccaccio; voci latine) si presentano in ambedue le redazioni ma l'eliminazione delle forme dialettali nella redazione definitiva fece sì che il Varchi lodasse l'autore per aver composto l'opera senza essere mai stato a Firenze, lagnandosi solo di lievi trasgressioni.
In oggetto abbiamo il tredicesimo e ultimo capitolo, il commiato. L'amata è morta e il pastore Sincero, Sannazaro stesso (come rivela il par. 5) si rivolge alla sua immaginaria zampogna. Il capitolo è un lungo, inarrestabile compianto su sé medesimo, una variazione infinita sul tema del pianto. In cinque paragrafi, separati da una tratta che dice come la vita, facendo cosmicamente eco al dolore personale, si sia ritirata dagli abitanti tutti di Arcadia, vegetali, animali e umani, troviamo una lunga serie di riferimenti al pianto, in chiave sinonimica e con termini e nozioni similari.
La forza e la finezza della prosa del Sannazaro sono mostrate benissimo dai paragrafi 6 e 7, che incarnano il contrappunto universale, da fine del mondo, alla pena dello scrittore, che iniziano con frasi disposte elegantemente a chiasmo (sono estinte / secchi sono; ruinato è / son tutte mutole) ma poi proseguono sgranando tutti i soggetti del mondo un tempo florido e adesso inaridito (pastori, fiere, greggi, ecc...) per raccogliere, infine, l'elencazione nella stretta finale che esplode nell'anafora totalizzante degli ogni che esplicitano il totale annichilimento tramite un crescendo dei verbi.
Questa insistenza sulle replicazioni pure e sulle variazioni sinonimiche è accompagnata dal ripetersi di moduli sintattici identici che nella moltiplicazione acquistano qui un colore funereo:
- ordine generalizzato attributo – sostantivo (superbe piazze, populose cittadi, dolorosa et inconsolabile vita) di per sé magari semanticamente ridondanti però decisivi per la solennità e il ritmo.
- aggettivi di relazione: reali trombe, romani consuli
- participi che conservano il loro valore verbale: adombrati favori, rispondenti selve, lo incominciato mele
- frequenza delle coppie: infelice e denigrata sampogna, mesto e lamentevole suono
- latinismi: adombrati, buccine, inopinato, calamo, veracissimi, lutulenti.
- Superlativi: vanissime, efficacissima, crudelissime, veracissimi, abondantissime.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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