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Le scene moltiplicate di Fantasmi a maratona - U. Foscolo

Le scene moltiplicate  di Fantasmi a maratona - U. Foscolo


Il problema maggiore era di creare verbalmente uno spazio o più spazi entro il buio, e Foscolo l'ha fatto accumulando le scene, ognuna descritta con la massima rapidità in modo che ne nasca l'illusione della contemporaneità, ma specialmente impostando tutto sui plurali, uno dei quali (notturni / Silenzii) è già del tipo indeterminante e replicativo che sarà poi di Leopardi e del simbolismo: dal v. 203, inizio della rievocazione della battaglia, fino al canto che la chiude e culla col polisindeto, tutte le parole in fine di verso sono dei plurali, ciò che si potrebbe chiamare una rima grammaticale continuata. È così che le singole scene, descritte sinteticamente, appaiono di fatto moltiplicate, e gli spazi si slargano grandiosamente e insieme si sfocano. Troviamo insoma una severa architettura in cui è rigorosamente divisa la parte visiva (203 – 207) da quella auditiva (207 – 212) che si conclude con la tradizionale triade d'elementi, di cui l'ultimo, il canto delle Parche, appone alla scena un sigillo dal ritmo, di natura soprannaturale, metafisica.
Il passaggio all'episodio successivo non è solo improvviso dal punto di vista narrativo, ma trasporta a una diversa atmosfera, come anche indicano la metafora vitalistica del correre e la parentela fonica tra i due termini, entrambi euforici, venti e verdi.
Diversa atmosfera, ma parentela nella patina tonale, che è ciò che sempre nel carme ovvia al pindarismo nell'approccio ai diversi referenti. Certamente la scena non può più conservare la temperatura accesa di quella di Maratona, e diciamo pure che si assesta su quel piano di nobile e compatta eloquenza che sempre nel carme si intreccia alla vera e propria poesia. Vale però la pena di osservare che nella figura di Aiace Foscolo celebra ancora una volta quel culto preromantico dell'eroe bello di fama e di sventura che corre dall'Ulisse del sonetto a Zacinto all'Ettore con cui termina memorabilmente il carme stesso, e nel quale il poeta versò tanta parte dell'immagine o mito di sé medesimo, sventurato e ramingo. E difatti è così che scatta l'episodio successivo, in correlazione al Felice te... detto al Pindemonte: vv. 226 – 228. Tutto quanto detto può indicare da parte sua perché i Sepolcri sono diventati nella modernità italiana a un testo paradigmatico, ma senza perdere il loro carattere eccezionale e diciamo pure quell'ambiguità che li fa maggiori di altra poesia foscoliana.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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