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Villari, l'eredità del positivismo italiano


Negli ultimi vent'anni la complessa vicenda del positivismo italiano è stata oggetto di numerosi studi che ne hanno fatto emergere la natura poliedrica ed estremamente variegata, non riconducibile ad un unico modello ispiratore. È noto che la Prolusione del 1865 di Pasquale Villari , La filosofia positiva e il metodo storico, viene in genere considerata come il manifesto della prima fase del positivismo italiano. Un positivismo che si caratterizza in senso critico – metodologico, diversamente da quello evoluzionistico – naturalistico, affermatosi in un momento successivo. Villari nella sua prolusione stabilisce alcuni criteri fondamentali del suo positivismo storico – critico, tra loro strettamente collegati:
- Il riconoscimento della storicità delle concrete condizioni entro cui si genera e si articola la conoscenza umana.
- La scientificità dei metodi e degli strumenti della ricerca storica definendone ambiti e problemi, con le conseguenti esigenze di settorializzazione e, al tempo stesso, di interdisciplinarietà.
- La funzione politico civile della storia e delle scienze sociali, da considerare in rapporto diretto all'impegno per il rinnovamento del Paese.
Villari non si è occupato in maniera specifica di storia dell'educazione ma ha evidenziato comunque l'importante nesso tra la storia sociale e la storia della scuola, che riemerge in alcune direzioni di ricerca, che lo arricchiscono di ulteriori elementi di riflessione, anche durante e dopo la parentesi idealistica.
Villari dice che nell'esigenza di un rinnovamento metodologico degli studi in campo etico – sociale si deve rinunciare allo studio delle essenze ricercando invece le leggi, classificando e verificando i fenomeni sociali colti nella loro concretezza storica. Va sottolineata l'ampia portata delle considerazioni di Villari circa l'applicazione del metodo storico alle scienze morali, evidenziando l'importante nesso tra psicologia e storia ed evitando di estendere il metodo delle scienze naturali a quelle etico – sociali, poiché il pensiero non si pesa e non si misura. La questione del metodo sarà sempre fondamentale in Villari. Il problema del costituirsi di nuovi approcci disciplinari in merito allo studio del rapporto uomo – società è anche dovuto alla necessità di dare legittimazione storica al nuovo Stato, per procedere sempre più verso la piena unificazione culturale ma soprattutto etico – civile.
Il diffondersi della coscienza storicia in ogni ambito dei saperi umani porta ad una sempre maggiore precisazione di metodi e contenuti, per poter trasformare la storiografia da mera opera narrativa o di pura erudizione a scienza vera e propria, promuovendo incontri tra discipline storico filologiche, ad esempio, e la nuova antropologia sociale.
Si rivela così centrale il profondo rapporto tra il Villari storico e teorico della storia e il suo impegno in campo politico – sociale e scolastico. La coscienza storica per lui è il fondamento di una nuova prassi sociale, al fine di controllare e di migliorare la realtà del presente, attrezzando lo Stato di strumenti conoscitivi in grado di fornire risposte adeguate alla situazione italiana. Villari afferma che la scienza storica non può fermarsi al momento puramente conoscitivo, ma investe in profondità gli aspetti dell'educazione e della politica.
Nel noto saggio del 1872, La scuola e la questione sociale, Villari considera la scuola come fautrice di rinnovamento solo se viene considerata in un contesto di azione riformatrice globale. Del resto il suo contributo alla pedagogia comparata nasce dalla necessità che l'Italia si ponga sulla medesima via di modernizzazione delle altre nazioni europee non dimenticando che il rinnovamento scolastico deve andare di pari passo con la riforma dello stato sociale e dell'amministrazione.
È forte in Villari la convinzione che non si possa importare alcun modello in condizioni socio – economiche diverse. Villari sente la profonda contraddizione tra l'esigenza che l'Italia affronti una svolta di cui mancano però tutte le condizioni reali. È questa una consapevolezza che troveremo anche nel suo allievo, Salvemini, che in La riforma della scuola, del 1908, afferma di aver preso dal suo maestro la coscienza che ogni questione scolastica è una questione prima di tutto sociale e politica. La matrice positivistica che Salvemini eredita da Villari si traduce alla fine in una visione deterministica, statica, per cui la scuola non può che rispecchiare le logiche della società e ad essa adeguarsi. Insomma, si possono registrare i dati del degrado ma non è possibile cambiarne più di tanto le tendenze.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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