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Hume - Religione e terrore

La religione primitiva del genere umano nasce soprattutto da una paura ansiosa per gli eventi futuri. E quale idea ci si può fare dei poteri invisibili quando si è soggiogati da ogni tipo di apprensione? La fantasia moltiplica i motivi di terrore.
La divinità è rappresentata sotto apparenze terrorizzanti. Ma se consideriamo anche lo spirito di adulazione che è in tutti i religiosi in conseguenza dei loro terrori, dobbiam aspettarci il prevalere di un sistema teologico diverso. Ogni virtù sarà ascritta alla divinità. Ecco un altra contraddizione: da un lato i nostri terrori naturali ci spingono a pensare una divinità diabolica e maliziosa, dall'altro la nostra disposizione ad adulare ce la fa vedere come eccellente e divina.
Popoli molto barbari come africani e giapponesi adorano un essere che considerano crudele e detestabile. Ma anche tra i greci i due aspetti convivono. Quando gli uomini esaltano la divinità si riferiscono solo a idee di potenza e conoscenza, non bontà... più la divinità è esaltata in potenza, più viene depressa in benevolenza.

Fra gli idolatri le parole possono esser false e contrarie all'opinione segreta dei singoli, ma anche tra i religiosi più esaltati il cuore in segreto detesta le crudeli misure vendicative del Dio: c'è insomma un lotta interiore.
Luciano nota una contraddizione: lotte, incesti e guerre sono celebrate tra gli dei ma punite severamente tra gli uomini. Secondo il cavalier Ramsay i Cristiani avrebbero superato i pagani, ascrivendo alla natura eterna cose che costituirebbero delitto tra gli uomini divinizzando vendetta, furia, crudeltà... insomma, più terrori ispira un Dio, più si moltiplicano i suoi concetti barbarici. La giustificazione dei popoli: noi applichiamo le leggi perché esista la società; gli dei han massime di giustizia tutte loro.

In qualsiasi religione, comunque definiscano la divinità, è certo che molti devoti cercheranno di accaparrarsi il favore divino non con la virtù e la moralità, ma con frivole osservanze, zelo e rapimenti estatici. I romani in periodi di pestilenza non limitavano i loro vizi, ma compivano atti superstiziosi. Se anche esistesse una religione che considerasse che solo con la moralità si può guadagnare il favore divino, i pregiudizi del popolo sono così inveterati che si penserebbe che l'essenziale è l'assiduità verso tali pratiche e non la moralità stessa.


Tratto da STORIA NATURALE DELLA RELIGIONE di Dario Gemini
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