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Storia di vita raccontate dalle donne

Edipo sbaglia due volte

Edipo, riletto nella breve versione poetica di Muriel Rukeyser, sbaglia due volte, è costretto a incorrere in una doppia mostruosità. L'Uomo non solo è mostruoso in quanto astratto nome universale che fagocita l'unicità di ogni essere umano, ma è mostruoso anche per la sua pretesa di includere al contempo le donne pur nominandosi al maschile. "L'Uomo e la Donna" sarebbe in questo caso la risposta all'indovinello delle gambe. Come succedeva all'Uomo, la Donna, tuttavia, non può che essere tutte le donne proprio perché non è nessuna di esse. Alla Donna non si può chiedere chi è ma solo cos'è. Mostruosa e teriomorfa, la Sfinge è comunque una creatura femminile. Davvero strana è la domanda che il vecchio Edipo osa porre alla Sfinge: "Perché non ho riconosciuto mia madre?". La rivelazione che la Sfinge rivela sta però proprio nella risposta di lui che, dicendo l'Uomo senza menzionare le donne, commise il primo sbaglio. Credendo di aver dato la risposta giusta Edipo ebbe così il regno e la regina: ma poiché la risposta era sbagliata, sposò sua madre senza poterla riconoscere. Il vecchio Edipo tuttavia, ancora non capisce. Anzi, rincara due volte la dose dell'antico errore. Egli per giustificarsi, non solo pretende che il termine Uomo includa anche le donne, ma sottolinea che è una cosa nota a tutti. "Questo lo pensi tu", ribatte allora la Sfinge. L'enigma dell'incesto è dunque ormai chiaro. Come potrebbe infatti aver riconosciuto sua madre chi include anche le donne nell'Uomo? come potrebbe mai riconoscerla chi, a rigor di logica, dovrebbe limitarsi a dire che l'uomo nasce dall'Uomo? la scissione fra universalità e unicità, tra filosofia e narrazione, segna sin dall'inizio una tragedia maschile. C'è pertanto un'ombra di verità nel consueto stereotipo per cui spetterebbe alle donne una sorta di attitudine per il particolare. E da sempre, questa attitudine, fa di esse delle narratrici eccellenti.

Alla periferia di Milano

Le donne davvero e molto spesso si mettono a raccontare l'una all'altra la loro storia come se per ognuna ne andasse della propria esistenza e della propria identità personale. Il fatto è che ne va davvero. Emilia sa che una vita di cui non si possa raccontare una storia rischia di rimanere una mera esistenza empirica, ossia una sequenza intollerabile di eventi. Per le amiche, le domande "chi sono io?" e "chi sei tu?", in assenza di una scena plurale di interazione dove il chi possa esibirsi, passano così immediatamente a trovare la loro risposta nella regola classica di raccontare una storia. Emilia, non avendo avuto spazi politici di esibizione, teme di non lasciarsi dietro alcuna storia degna di narrazione, ella la vuole a tutti i costi nella forma del testo scritto. Come se fosse la storia narrata a produrre la realtà del sé. Oppure come se il narrare questa storia di vita fosse un'azione politica. Sorprendentemente lo è. L'azione esibitivi coincide qui con un'autonarrazione. Viene così trasgredito il principio che dichiara inefficace l'autobiografia. Il sé narrabile, infatti, spinto dal giusto timore che il parzialmente inesposto sia parzialmente inesistente, passa da se solo a soddisfare il proprio desiderio di una storia narrata. Il fatto che l'amicizia maschile sia raramente di tipo narrativo, ossia che molti uomini preferiscano parlare di cose o di cosa sono invece che di chi sono, è del resto un sintomo assai interessante. Esso potrebbe essere maliziosamente interpretato come un significativo contrappasso della colpa androcentrica stessa. Il prezioso suggerimento arendtiano sulla in essenzialità del testo viene ad avere una splendida riprova. Non conosciamo le adorate paginette che Emilia custodiva nella sua borsetta. Ciò che questo episodio delle amicizie narrative insegna è appunto il rapporto di desiderio fra Emilia e le pagine biografiche, a noi ignote, scritte per lei da Amalia. Tale desiderio mostra collocarsi fra un sé che si assapora già da sempre come narrabile e l'atto della narrazione. Da questo punto di vista, tanto il testo risultato dai goffi tentativi autobiografici di Emilia quanto quello scritto da Amalia possono dunque tranquillamente rimaner fuori dalla nostra analisi senza minarne la completezza. Si può individuare il criterio che differenzia le amicizie dalle semplici conoscenze. La differenza tra le persone che conosciamo o frequentiamo e le nostre amiche consiste nella circostanza per cui, sebbene le prime non dubitino che abbiamo una storia e ne conoscano addirittura grandi tratti, solo le seconde sono in grado di raccontarcela.

In una libreria di New York

Possiamo definire una regola: le donne, femministe comprese, leggono assai volentieri biografie di donne scritte da donne. Detto alla rovescia, ci sono molte donne che scrivono le storie di vita di altre donne rivolgendosi a un pubblico di lettrici. Nella prospettiva femminista interviene la cosiddetta differenza di genere. L'accusa fondamentale è che la critica non abbia mai dato conto fino in fondo delle caratteristiche peculiari delle auto/biografie scritte da donne, limitandosi a omologarle a quelle maschili – o, peggio ancora, ad escluderle dall'analisi, o a trattarle come una sorta di sottogenere. Si aprono così diverse strategie teoriche. In questo orizzonte postmoderno, pur nella varietà degli approcci, si profila un accordo su principi generali. Uno di questi afferma la costitutiva frammentazione del sé nella scrittura auto/biografica femminile. Un altro sottolinea come il percorso individuale si intrecci continuamente con quello collettivo, nella convinzione che qualcosa della propria vita sia comune a molte vite femminili.

Il fatto è che non solo chi è eccezionale si lascia dietro una storia. Accanto alle auto/biografie di donne celebri non è infatti raro trovare in libreria quelle dedicate a donne qualunque. Proprio qui sta del resto il sortilegio del testo biografico: la donna qualunque, che ne è protagonista, si mostra unica e irripetibile. La sua storia di vita mette soprattutto in parole l'unicità della sua identità personale. C'è indubbiamente un effetto di compattezza nell'identità narrata in forma di storia. Tale identità è appunto immutabile perché il racconto viene dopo quel fluire dell'azione da cui la storia di vita è risultata. Il chi appare nel racconto come un'essenza perché la narrazione è sempre retrospettiva: essa ferma ciò che stabile e fermo, nel flusso espressivo dell'esistenza, non è.

Ciascun essere umano nasce e vive finché muore. Nessuno può sostituirlo in questi eventi della sua esistenza, né egli può divenire un altro per sottrarsi agli eventi medesimi. Emilia come Edipo, come ogni essere umano, è chi nacque e vive finché muore. L'equivoco sul permanere dell'identità sta nel confondere lo statuto del chi con quello del che cosa. Il che cosa, ossia le qualità, il carattere, i ruoli, gli atteggiamenti del sé cambiano e sono inevitabilmente molteplici. Il chi invece permane. Nel momento in cui vogliamo dire chi uno sia, il nostro vocabolario ci svia facendoci dire che cos'è. L'ordine discorsivo che dice chi qualcuno è non pertiene però all'arte della definizione, bensì a quella della biografia. In una storia di vita, ovviamente vengono narrate anche le qualità del protagonista. Poiché non c'è un chi che non sia già da sempre intessuto nel suo che cosa o sia da esso separabile. Ma è soprattutto dell'identità personale, unica e irripetibile, che un testo biografico narra la storia. È probabile che il desiderio di leggere auto/biografie altrui sia una sorta di riflesso spontaneo del desiderio di narrazione del sé narrabile. Il sé narrabile decontestualizza in questo caso il suo desiderio e lo trasferisce sull'opera già confezionata. Il testo autobiografico viene a sostituire l'amica che si racconta.

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