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Cinema e televisione


1. Introduciamo ora dei cenni sul cinema come primo testo audiovisivo cui si sia interessata la semiotica, per dilungarci più nel dettaglio sulla descrizione di un mezzo ancora più complesso, ovvero la televisione. la pubblicazione Le cinema: langue ou language? di Christian Metz segna l’inizio dei primi lavori sulla semiotica del cinema e soprattutto apre nuove discussioni su come la semiotica sia in grado di poter analizzare fenomeni tesutali diversi rispetto alle lingue, utilizzando le stesse metodologie. La visione strutturalista, che ha sempre caratterizzato la produzione scientifica di Metz, sarà totalmente ripresa nella sua visione del film in una proposta di analisi ma anche di ricerca, pertanto le prime domande che si pone sono: a) il cinema merita di essere studiato come fenomeno della semiotica? b) Il cinema si muove nell’ambito di una lingua o di un linguaggio? Se la semiotica si occupa dell’analisi di strutture significanti o complessive, più che di fatti autonomi e sparsi, può occuparsi di cinema solo se questo si basa su una lingua e il cinema non appare come tale, malgrado Ejzenstejn e il suo strumento di significazioni astratte, perché non ha doppia articolazione. In Italia, Eco, smontando il mito della doppia articolazione, sostiene invece che esistono sistemi con diversi livelli di articolazione e il cinema ne presenta una multiplia, cosa che lo rende un sistema semiologico “forte” diverso dai solito e che, pertanto, richiede più attenzione. Secondo Giarroni la lingua è codificazione e schematizzazione del linguaggio. L’analisi semiotica ha una formalizzazione alta nelle lingue naturali, ma bassa nel cinema, dove la schematizzazione è più labile. Il problema è il grado di formalizzazione. Un discorso a parte merita Pier Paolo Pasolini il quale definisce una sua idea tanto personale quando energetica: il linguaggio cinematografico è senza lingua comunicativa e non esiste un dizionario delle immagini, pertanto l’autore cinematografico è costretto ad inventarsi i suoi segni prima che siano espressione. Malgrado la mancanza di una lingua, i film comunicano attingendo ad un patrimonio comune, a segni della realtà. Assumendo la realtà come lingua, la semiotica generale ha come oggetto i linguaggi prima dell’agire e della presenza fisica, essa si dirama in semiologia del linguaggio della realtà e semiologia del linguaggio del cinema. Esiste, poi, una riproduzione audiovisiva con una grammatica propria, ma limitata dal ricreare le stesse caratteristiche linguistiche della vita, intesa come linguaggio. Si riconoscono: modi ortografici, della sostantivizzazione, della qualificazione, della verbalizzazione o sintattici. L’utopia di Pasolini è che se la realtà parla da sola, il cinema ne sia specchio fedele. Wollen, contestando la rigidità della nozione di segno derivante da Saussure, riprende la meno rigida tripartizione del segno in Peirce, scoprendo le seguenti ricorrente: l’icona è la reinvenzione della realtà, l’indice copre la ricerca realistica e il simbolo è il gioco dell’immagine che rappresenta la realtà non direttamente bensì attraverso meccanismi concettuali e convenzionali. Altri contribuiti indicativi alla maturazione della disciplina provengono, ancora, da Worth che riflette sul segno cinematografico individuando il videma (l’inquadratura), formato da cadema (unità di ripresa) e edema (unità di montaggio). Si interrroga, infatti, sull’emissione e la ricezione del senso e di come questo venga trasmesso dall’emittente al fruitore. Nella griglia di Metz si trova ancora che la dialettica concreto/ideale (realtà oggetto dell’analisi) si incrocia con quella singolare/non singolare: il testo è singolare concreto (questo dato film), il messaggio è non singolare concreto (un gioco di luci in un dato film), il codice è non singolare ideale mentre il sistema singolare è ideale singolare (organizzazione di un testo). Il percorso semiotico si espleta da testo e messaggio verso il codice e il sistema singolare: il sistema singolare è relativo ad un film, i codici sono l’insieme di tutti gli elementi che i film possono usare. 2. Spostiamoci adesso verso la televisione. Inizialmente intesa come sincretismo tra i preesistenti media, piuttosto che come innovazione tecnologica, essa ha trovato ben presto una sua specifica identificazione grazie a proprie forme espressive che hanno a loro volta originato nuovi punti di osservazione. Il livello denotativo rinvia ad un dato naturale e rimanda direttamente al suo referente; il livello connotativo rinvia ad un dato culturale e affettivo, seppur lo faccia apparire naturale e immediato. Ecco i codici caratteristici: a) codici della realtà: riguardano il mondo che la TV rappresenta. Essi comprendono: codici verbali e non verbali; b) codici discorsivi: riguardano la modalità specifica con cui la televisione rappresenta il mondo. Essi comprendono: codici visivi, codici grafici, codici sonori, codici sintattici, codici temporali; c) codici ideologici: riguardano il tipo di mentalità che governa il mondo rappresentato e il modo di rappresentarlo. Si riconosce al media una funzione sociale che i due autori segmentano nelle seguenti: a) funzione affabulatoria: strettamente legata alle riflessioni sulla natura “orale” del discorso televisivo; b) funzione bardica: il “bardo” è colui che canta le gesta di una comunità, ne registra eventi e preoccupazioni traducendole in versi che diventano patrimonio comune; c) funzione ritualizzante: profondamente radicata nelle dinamiche sociali, la televisione si modella su di esse, ricalca le vicende quotidane, si fa portavoce della cultura, concorre a definire paradigmi di comportamento, crea appuntamenti collettivi che modificano il ritmo della vita quotidiana e organizzano gli impegni domestici; d) funzione modelizzante: fa da sfondo alle funzioni precedenti e si esercita attraverso la costruzione di rappresentazioni semplificate e canoniche della realtà da cui la televisione prende a prestito valori, rituali, simboli, forme di interazione, luoghi e tempi, per poi restituirli sotto forma di modelli da imitare. 3. Le realizzazioni audiovisive, in quanto dotate di una loro valenza comunicativa, lavorano su materiale simbolico e producono nel fruitore effetti di senso: in tal senso la semiotica considera i messaggi televisivi come testi sebbene qui ne sia difficile la definizione. Ancora, se si pensa alle serie ad episodi e puntate che si susseguono per mesi e anni, si può percepire come testo ciascuna puntata o, allo stesso modo, l’intera serie. Nonostante non sia, dunque, stato definito il limite dell’oggetto testuale, resta indiscusso il fatto che esiste una relazione fra autore e lettore qui ricondotta ad un modello definito semiotico-enunciazionale il quale evidenzia segnatamente il carattere non diretto e non reciproco della comunicazione nei media system. Non essendoci interazione diretta tra i soggetti, è solo nel testo che devono ravvisarsi enunciatore ed enunciatario, posizioni attive e semanticamente piene, che con una loro precisa competenza prefigurano, nelle date scelte discorsive, i rispettivi simulacri. Partecipano ancora ad una dimensione semiotico-testuale altri temi inerenti il discorso televisivo: tra questi ci soffermiamo sulla narratività, serialità, genere. Narratività. La televisione interpreta quotidianamente il mondo, strututrandone e presentandone i contenuti su una precisa dimensione temporale, ovvero costruendo un metaracconto con sue specifiche forme narrative. Analogamente il lavoro dei soggetti destinatari si può leggere nei termini della costruzione di una storia che ogni spettatore articola, svolgendo le trame di un programma ed evidenziando gli elementi che ritiene salienti. Serialità. La serialità si caratterizza per la sua stretta connessione con una certa temporalità. Come processo di successione ed enumerazione, che consente la creazione di un gruppo omogeneo e regolarizzato di casi, la serialità si consuma quotidianamente attraverso ripetizioni al tempo stesso prevedibili, variabili e rassicuranti. Per quanto poco originali, banali e ripetitive possano apparire, le storie così narrate creano appartenenza  a quel mondo possibile ma anche familiarizzazione con il mondo sociale che lì viene rappresentato. Genere. Un altro aspetto basilare è il genere, principio ordinatore che, servendosi di competenze intertesuali e frame depositati, sistematzza convenzionalmente i testi, attribuendo loro una data fisionomia. Il genere occupa, pertanto, una posizione privilegiata nei processi interpretativi perché fornisce immediate linee di lettura con cui stabilire uncerto tipo di relazione con il testo che conduca verso un primo universo di senso anziché un altro. 4. Ancora nel gioco delle conoscenze e delle attese, il telespettatore medio si approccia ad un programma con una serie di cognizioni pregresse e codici acquisiti che lo guidano nella ricezione dei programmi determinando previsioni e sorprese. Oltre ai percorsi inferenziali consentiti dalle griglie del genere, lo spettatore procede nella lettura anche grazie ad elementi paratesutali tra i quali, ad esempio, il titolo che, fungendo ancora da topic, informa sin dal principio sui contenuti e sulle modalità di fruizione dello specifico programma. Per soddisfare l’orizzonte di attesa dello spettatore, per convalidare la sua dimensione sociale, per attenuare la distanza ma anche riconoscere la sua individualità personalizzando il rapporto, i produttori sono alla continua ricerca di una “drammaturgia” perfetta, ovvero di una decilinazione completa ed armoniosa dell’idea che da formula si trasformi in programma compiuto. Nulla toglie che, anche in questo caso, l’armonia possa essere volutamente interrotta alla ricerca di forme innovative che costringeranno inizialmente a rivedere i parametri formali per divenire successivamente nuova forma.

Tratto da SEMIOTICA E COMUNICAZIONE di Niccolò Gramigni
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