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Processi metaforici


La massima espressione della vaghezza è manifestata dalle metafore, tropi che finiscono per articolare la semiotica della cultura come una logica dei concetti sfumati. La metafora è generalmente intesa come un trasferimento, uno “spostamento” basato sul riconoscimento di una forma di somiglianza. Tale possibile riconoscimento è, in linea di principio, anche imprevedibile e non condizionato da concrete relazioni fattuali. Negli studi aristotelici la metafora è una figura del discorso con funzione ornamentale che consiste nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro, attraverso una similitudo brevior, ovvero attraverso un meccanismo di comparazione che prevede il riconoscimento di una possibile analogia tra gli oggetti in questione, basata su di un tratto individuato come comune. La critica romantica, con Voci e Nietzsche, ha contrtapposto alla concezione retorica l’idea di una metafora come forma cognitiva del discorso e, quindi, del pensiero. Richards, Black, Lakoff e Johnson, in ambiente più specificatamente cognitivista, sostengono che, non più riducibile ad una produzione strattamente linguistica, essa è un vero e proprio processo psicologico: si presenta pertanto come il luogo stesso della generazione di senso, come luogo della elaborazione delle associazioni che soggiaciono alla formazione di un segno che si ridefinisce su continui spostamenti di sneso, su slittamenti imprevedibili e nuovi. La metafora appare come uno strumento esperenziale, che consente l’accesso alla conoscenza e all’organizzazione concettuale del mondo. La metafora instaura, quindi, non un processo induttivo o deduttivo, bensì abduttivo, dato che è solo per tentativi, per ragionamenti e per ipotesi che ci si può spiegare qualcosa di sconosciuto con qualcosa di conosciuto o, come sosteneva Black, versando un nuovo contenuto in vecchie bottiglie. Possiamo riferirci anche a Peirce se pensiamo che il processo messo in atto dalla metafora è di tipo iconico nel momento in cui l’analogia, l’isoformismo, la motivatezza costituiscono un fondamentale motore per la sua creazione. Per Peirce l’icona è innanzitutto eccitata attraverso una relazione sul cervello da un oggetto esterno, ma dalle radici sensoriali essa si eleva poi alla sua natura di rappresentazione, immaginativa, sempre creativa e autosignificante. L’invenzione iconica, dunque, consente “relazioni fra elementi che prima sembravano non avere nessuna necessaria connessione ed è attraverso l’immaginazione che l’icone offre nuove prospettive conoscitive”. Dunque la metafora, in quanto tale consente un accesso nuovo alla conoscenza attraverso un accostamento di somiglianze che fanno scoprire nuove associazioni fra gli oggetti messi in rapporto, è fondata proprio su un tipo di processo iconico. Rispetto alla lingua intesa come codice, la metafora raprpesenta l’apice della oscillazione, l’abbatitmento di ogni possibile teorizzazione di calcolabilità emblema della non fissità di un segno che si apre fino a perdere e a reinventare un nuovo rapporto tra significante e significato. In virtù di questa oscillazione, Eco distingue le metafore aperte e chiuse a seconda del grado di difficoltà richiesto per percorrere la semiosi da cui derivare il senso finale. La metafora chiusa è facilmente comprensibile perché dice quello che si sa già ed è pertanto povera in quanto poco conoscitiva. La metafora aperta implica, invece, la predicazione di semi mai ancora predicati, imponendo operazioni inedite di interpretazione: è dunque nella metafora aperta che si esprime più segnatamente il processo di associazione creativa tra pensieri e modalità espressive. Pertanto il carattere della metafora può essere interpretato solo in connessione con usanze e credenze vigenti in un ceerto tempo tra i concreti gruppi di utenti. La riuscita della metafora è perciò funzione del formato socio-culturale dell’enciclopedia dei soggetti interpretanti. In questa prospettiva, si producono metafore solo sulla base di un ricco tessuto culturale ovvero di un universo del contenuto già organizzato in reti di interpretanti che decidono semioticamente della similarità e della dissimilarità delle proprietà.

Tratto da SEMIOTICA E COMUNICAZIONE di Niccolò Gramigni
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