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Ostacoli al fordismo – David Harvey


Per allestire il suo sistema di produzione, Ford aveva fatto ricorso quasi esclusivo a lavoratori immigrati. Analogamente, negli anni venti, l’opposizione dei lavoratori riuscì ad evitare il consolidamento delle tecniche tayloriste nella maggior parte delle industrie. Nel resto del mondo capitalistico l’organizzazione dei lavoratori erano semplicemente troppo forti, e l’immigrazione troppo debole, per permettere al fordismo e al taylorismo di dominare il mondo produttivo.

Il secondo grosso ostacolo da superare era rappresentato dalle modalità e dai meccanismi degli interventi statali. La crisi era vista fondamentalmente come assenza di domanda effettiva di prodotti, e su tale base ebbe inizio la ricerca di soluzioni. Di fronte all’evidente incapacità dei governi democratici di fare qualcosa, non è difficile capire il fascino della soluzione politica nazionalista nella quale i lavoratori erano sottoposti a sistemi produttivi nuovi e più efficienti e nella quale la capacità produttiva in eccesso veniva in parte assorbita attraverso spese in infrastrutture necessarie per la produzione e il consumo.

Infatti, non pochi politici e intellettuali, come Schumpeter, ritenevano che soluzioni perseguite in Giappone, Germania, Italia negli anni trenta (tolti i riferimenti a militarismo e razzismo) andassero nella direzione giusta. Il problema, secondo l’economista Keines, era quello di giungere a una serie di strategie manageriali scientifiche e a poteri statali che stabilizzassero il capitalismo evitando le evidenti repressioni, il bellicismo e l’angusto nazionalismo che tali soluzioni implicavano.


Il problema di un’adeguata configurazione e di un adeguato uso dei poteri statali fu risolto soltanto dopo il 1945. Ciò portò il fordismo alla maturità quale regime di accumulazione ben definito. La crescita fondamentale che si determinò durante il boom postbellico (e che durò fino al 1973, raggiungendo tassi di crescita economica notevoli) dipendeva, tuttavia, da una serie di compromessi e di nuovi posizionamenti da parte dei protagonisti del processo di sviluppo capitalistico.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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