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La musica italiana fra le due guerre: Casella, Respighi e Malipiero


Anche in Italia si presenta il medesimo problema. Racconta Alfredo Casella: la creazione di uno stile moderno nostro è stato il problema assillante della mia generazione. Quando questa generazione cominciò a pensare, l’unica musica tipicamente italiana era quella operistica ottocentesca e verista piccolo – borghese. Urgeva dunque scuotere a tutti i costi questa idea angusta e antistorica e ricondurre i musicisti prima, e le masse più tardi, a pensare che ben altre, più profonde, più varie erano le fondamenta della nostra musica.
La generazione dell’Ottanta dunque, per riportare la musica italiana in una prospettiva europea, partì in netta polemica con il verismo, coinvolgendo in un rifiuto antiromantico anche il melodramma ottocentesco. Il rinnovamento dato da questi musicisti fu profondo, e per dare vita alla musica strumentale da tanto tempo trascurata, essi si rifecero alla tradizione italiana rinascimentale e barocca, eludendo i rischi dell’imitazione del romanticismo tedesco.
Ottorino Respighi (Bologna 1879 – Roma 1936) partecipò del clima determinato da chi si sforzava di ritrovare una tradizione italiana strumentale e, più o meno timidamente, guardava alle vicende musicali europee. I suoi esiti più significativi vanno cercati non tanto nelle otto opere teatrali (Belfagor, La Fiamma) incerte tra tradizionalismo e aspirazioni sinfoniche, quanto in alcune pagine strumentali dal sicuro e fastoso colorismo, come Fontane di Roma, Pini di Roma e Feste romane.
Gian Francesco Malipiero (Venezia 1882 – Treviso 1973) definì la sua poetica negli anni precedenti la Grande Guerra, nella duplice direzione di un recupero della tradizione musicale italiana rinascimentale e barocca e di un agganciamento alle esperienze delle avanguardie storiche mitteleuropee. Elementi elaborati in funzione antiromantica, attraverso una scrittura di ispirazione essenzialmente vocalistica, di carattere liberamente rapsodico, articolata in episodi di
grande libertà ritmica. Una poetica che sviluppò una concezione teatrale basata su una visione statica, “a pannelli”, che si realizzò al meglio in opere come Sette canzoni, Mondi celesti e infernali e Le metamorfosi di Bonaventura. Inscindibile dall’attività di compositore fu quella di trascrittore, che restituì alla coscienza musicale contemporanea tutte le opere di Monteverdi e le composizioni strumentali di Vivaldi.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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