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La nascita della monodia e dello stile concertato


Sia che si parli di polifonia, che di monodia, è innegabile che gli strumenti musicali accompagnassero quasi sempre le performance. Se è vero che il nuovo monodico recitativo aveva necessariamente bisogno di un sostegno musicale, è altrettanto vero che ciò faceva parte di una tradizione pregressa ampiamente sperimentata.
Sensibili sono comunque le evoluzioni. Da libretti separati per ogni singola voce, si passa ad una partitura vera e propria, con un unico libretto che nelle monodie segnalava – ed è questa la novità più interessante – in maniera non integrale le parti strumentali che accompagnavano il recitativo, limitandosi ad indicare la sola parte melodica del basso, presupponendo che i suonatori fossero in grado di aggiungere da sé gli accordi necessari a sostenere la voce. È il cosiddetto basso continuo.
Il basso continuo, strettamente associato con tutti i generi di musica del periodo barocco, è il sostegno armonico – strumentale che accompagna le parti superiori della composizione dal principio alla fine. Il fortunato madrigale comincia a decadere, evolvendosi in forme più originali. Se il madrigale in origine era una composizione polifonica per sole voci, talvolta seguite da qualche strumento musicale, passa poco a poco a designare anche composizioni monodiche, certamente diverse dalla originaria struttura formale, ma ancora piene di quello spirito declamatorio, di quel legame col testo poetico, congenito a questo genere.
Lo stile di canto dei nuovi madrigali monodici è assai vicino alla libertà ritmica e formale del recitar cantando, e come esso è un continuo fluire di frasi melodiche sempre diverse, ogni tanto interrotto da qualche ripetizione retorica o da qualche imitazione tra canto e basso continuo. È un madrigale che ha perso, testualmente, la composta eleganza della tradizione petrarchesca, rivolgendosi ad autori che, in quanto maestri della sonorità della parola, dei giochi verbali e della sensualità delle immagini, meglio si confacevano allo spirito dell’evoluto genere madrigalesco: Torquato Tasso e Giovanbattista Marino.
Oltre al mutato madrigale, nasce un genere ibrido: la cantata. Potremmo definirla come una forma musicale vocale, formata da una sequenza di brani come arie, recitativi, duetti, cori e brani strumentali; in realtà è così forte la contaminazione di generi nel ‘600, che attribuire definizioni più rigidamente tassonomiche sarebbe rischioso.
Lo stile monodico inizia a inserirsi nell’ambito ecclesiastico, e non poco rilievo in ciò ebbe la novità del basso continuo, che offriva facilitazioni pratiche agli esecutori. Il basso continuo, infatti, permetteva di riassumere con lo strumento alcune delle linee vocali, lasciando all’esecuzione cantata solo un numero limitato di voci (da uno a quattro). Il vantaggio era notevole, specie per le piccole cappelle, che dovevano faticare per adattare a poche persone testi concepiti per un gran numero di cantori.
La raccolta fondamentale in questo senso fu quella di Lodovico Grossi da Viadana, Cento concerti ecclesiastici, che tira in ballo per la prima volta il termine concerto. La parola assume la strana forma di termine chiave di cui però non si è ben capaci di delinearne i tratti semantici, finendo per essere utilizzata genericamente per indicare tutti i nuovi tipi di sonorità di quegli anni. I teorici la facevano risalire alla sua origine latina (concertare nel senso di combattere insieme) e nell’uso quotidiano la si usa per definire l’atto di riunire più componenti sonore diverse, vocali e strumentali, o solistiche e corali, o organizzate sulla base di stili compositivi differenziati, o cori contrapposti.
Roma non accoglie invece le nuove tendenze, fatta eccezione per l’uso del basso continuo nell’organo. Troppo forte era ancora il modello cinquecentesco di Giovanni da Palestrina, che pur concependo uno stile improntato alla chiara comprensione delle parole e alla chiarezza musicale, lo applicò esclusivamente al genere polifonico.


Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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