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La soluzione collaborativa dei problemi nel lavoro di comunità


Consideriamo problema una situazione nella quale un soggetto, individuale o collettivo, trova una mancanza che è motivo di insoddisfazione. La percezione della mancanza, e il conseguente disagio, producono la motivazione e l’intenzione di cambiare la situazione e di trasformare la realtà.
Un  problema non esiste di per sé: c’è bisogno di un soggetto che lo riconosca e che lo qualifichi come tale. Non tutti, però, lo facciamo allo stesso modo: le differenze individuali e culturali sono anche, e soprattutto, differenze nei modi di interpretare e di risolvere i problemi.
Una parte significativa dell’impegno degli operatori di comunità è destinata ad attività di problem solving collaborativo, uno strumento fondamentale del lavoro di comunità. Del resto, la capacità di risolvere efficacemente i problemi da parte della comunità ci dà la misura della sua competenza e della sua abilità nel soddisfare i bisogni dei suoi membri.
Il processo di soluzione di un problema è estremamente delicato. Svolgerlo in gruppo, se da una parte conduce a risultati migliori perché si può contare su di un numero più ampio di risorse, dall’altra rischia di diventare caotico e dispersivo, se non viene condotto correttamente.
Occorrono degli accorgimenti: individuare modalità per focalizzare l’attenzione del gruppo sulla stessa cosa nello stesso momento; aiutare il gruppo a soffermarsi maggiormente sul problema, controllando la generalizzata tendenza a passare subito al piano della soluzione; aiutare il gruppo a descrivere il problema come qualcosa di affrontabile, risolvibile e definibile in termini di risultati attesi; sviluppare aspetti del pensiero più creativi, emotivi ed affettivi.
Il problem solving non è un processo lineare, ma spiraliforme, nel senso che la successione delle fasi in cui può essere scomposto si ripete per diversi aspetti in momenti diversi. Nelle prime 3 fasi, la percezione, la definizione e l’analisi del problema, la focalizzazione è sul problema in sé e non sulle possibili soluzioni, che avviene invece nelle fasi successive: la produzione di soluzioni alternative, la valutazione delle alternative, la decisione e il piano di azione.
L’esigenza di valutare l’importanza attribuita al problema, il potere e la competenza necessaria per risolverlo, nel momento della scelta del problema su cui investire, nascono dalla convinzione che tali aspetti sono essenziali per garantire il successo nell’intraprendere e nel portare a termine l’impresa.
La tecnica più impiegata per identificare le cause di un problema è il brainstorming. Ogni membro, a turno, suggerisce una possibile causa e indica a quale categoria intende riferirla. Le regole fondamentali sono: sospensione del giudizio e della critica, produzione di molte idee, contribuire con una idea per volta, tutte le idee sono buone, anche quelle che appaiono “strane”.
Brainstorming significa letteralmente “tempesta di cervello”, con questo strumento si intende lasciar via libera alla creatività e produrre il maggior numero di idee possibili su un dato tema; tutti questi contributi vengono a formare una lista trascritta su un cartellone che rappresenta la “memoria del gruppo”. E’ stato inventato da Alex Osborn.
L’importanza attribuita a un problema indica il grado di disagio che esso provoca alla persona, o al gruppo, e il conseguente desiderio di cambiamento. Esso indica la presenza di un bisogno percepito ma non soddisfatto, che spinge verso un’azione. La percezione dell’importanza indica la potenzialità dell’azione. Tuttavia, tale potenzialità non si attualizza se mancano le altre 2 componenti: il potere e la competenza.
La competenza è l’insieme delle conoscenze, delle abilità, degli strumenti che sono necessari per affrontare con successo il problema. La percezione della propria competenza è collegata a: la percezione e l’anticipazione del successo, l’autostima personale e di gruppo.

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