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Il librettista e il libretto


Il libretto è uno dei componenti primari dell’opera, ma è la morfologia di questa, in quel dato momento storico, a dettarne la struttura e, non di rado, persino il soggetto.
Il libretto è dunque un testo predisposto per un teatro ad alto tasso di convenzionalità come quello operistico e deve essere congegnato in modo da rendere efficace un dramma rappresentato dalla musica e dal canto. Il librettista è sì una figura importantissima, ma tuttavia sussidiaria, di servizio rispetto a quella dei cantanti e del compositore.
Il libretto lavora su testi preesistenti, su vicende e personaggi spesso già noti, utilizzando il vantaggio della preconoscenza della trama per lasciare più spazio al linguaggio non informativo della musica.
Il libretto detta all’opera le sue scansioni, dividendola in prologhi, atti, scene, recitativi, arie. I primissimi libretti o erano atti sostanzialmente unici, eventualmente con breve prologo, e poche scene oppure si articolavano anche in cinque atti, come le antiche tragedie, ma ognuno brevissimo. A fine Seicento, primi Settecento è già stabilizzato in tre il numero degli atti: ma le scene salgono anche sino a oltre venti in un atto. La misura dei due atti si afferma perlopiù nei testi buffi.
La misura dei tre atti è fedelmente osservata dal melodramma romantico, con numeri di scene e lunghezza variabili.
Anche il numero e l’importanza dei personaggi è ovviamente uno degli elementi della lunghezza e complessità del libretto. Nel Seicento i personaggi cantanti sono numerosi, da dieci in su. I personaggi restano assai numerosi nell’opera comica.
Nell’opera seria del secondo Settecento si assiste a una riduzione generalizzata del numero dei personaggi, da tre, quattro o cinque fino a otto; a fine secolo, il numero tende di nuovo ad aumentare.
La struttura formale del libretto corrisponde alla duplice esigenza di un teatro in versi e di un teatro cantato. Quando i personaggi dialogano tra di loro e raccontano fatti (nei recitativi), i versi sono prevalentemente sciolti e non di rado endecasillabi e settenari, con rime disposte nei punti in cui si prevede un’emersione più decisa della linea melodica o nelle clausole. Nei libretti secenteschi le rime sono per altro numerose anche in questi luoghi drammatici e i versi brevi (settenari) sono non meno frequenti dei lunghi. Poi il libretto stabilizzerà il recitativo su una prevalenza di misure lunghe alternate da settenari, con una più parca distribuzione delle rime.
Le arie tendono ben presto a organizzarsi in strutture strofiche chiuse, con versi prima molto variati e in seguito perlopiù isometrici, in genere brevi (ottonari, settenari), a volte brevissimi, a volte più lunghi.
Opera seria e opera comica si distinguono ben presto anche per il trattamento dei brani solisti, che, in quella buffa, hanno forma più aperta e lunga, anche con variazione interna di metro. I versi brevi sembrano più frequenti in opere buffe.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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