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Il desiderio dell'uomo: Aristotele – Etica Nicomachea

Aristotele – Etica Nicomachea

“Ogni arte e ogni ricerca, e similmente ogni azione e ogni proposito sembrano mirare a qualche bene; perciò a ragione definirono il bene: ciò a cui ogni cosa tende.”
“Bonum est quod omnia appetunt”, l'uomo cerca sempre il bene per sé, svolgendo un cammino e prendendo delle decisioni che lo portino lì. Gli antichi analizzavano anche le cose inanimate con questo schema, es. il sasso che rotola – dove sta andando?

Aristotele – Etica Nicomachea
“Se poi vi è un fine delle nostre azioni che noi vogliamo di per se stesso, mentre gli altri li vogliamo solo in vista di quello, e non desideriamo ogni cosa in vista di un’altra cosa singola (così infatti s’andrebbe all’infinito, cosicché la nostra tendenza sarebbe vuota e inutile), in tal caso è chiaro che questo dev’essere il bene e il bene supremo.”
Abbiamo fin'ora parlato della dinamica del desiderio ma il bene cos'è? Qual'è il contenuto del desiderio? La dinamica è “tendere verso un obiettivo – andare verso qls (bene)”, il contenuto è quel qls verso cui tendiamo. La dinamica è sempre uguale mentre il contenuto del bene cambia.
Aristotele ci dice come leggere la dinamica del qualcosa che serve a qualcos'altro, realizziamo delle cose in vista di altre, il primo livello di comprensione della realtà è capire cosa è strumentale ad altro. → bisogna capire il desiderio di fondo della persona e quindi anche quali sono le deviazioni, percorsi che si sono interrotti, i falsi desideri. Ad esempio la prima cosa che chiede l'utente non è detto sia quella che desidera o quello a cui questo è funzionale a ciò che desidera. MA Risalire all'infinito non ha senso perché sarebbe come cercare una fine o una non fine! Sarebbe come togliere tutta la catena delle cause, perché se non c'è un punto di arresto tutto il resto
perde significato, perché non sappiamo il perché, il regresso all'infinito spaventava gli antichi perché dichiarava l'assurdità del reale, se non possiamo spiegare come star le cose potrebbero stare anche altrimenti e non cambierebbe proprio nulla, se nulla cambia non spieghiamo perché dobbiamo fare fatica su certe cose non su altre. → Aristotele mette sempre dentro il problema metafisico


Aristotele – Etica Nicomachea
“Il sommo bene deve essere qualcosa di perfetto. Cosicché se vi è un solo fine perfetto, questo è ciò che cerchiamo; se ve ne sono di più esso sarà il più perfetto di essi. Noi diciamo dunque che è più perfetto il fine che si persegue di per se stesso che non quello che si persegue per un altro motivo e che ciò che non è scelto mai in vista di altro è più perfetto dei beni scelti contemporaneamente per se stessi e per queste altre cose, e insomma il bene perfetto è ciò che deve esser sempre scelto di per sé e mai per qualcosa d’altro. Tali caratteristiche sembra presentare soprattutto la felicità.”
Il nome del bene per gli antichi è la felicità. Tutti gli uomini desiderano essere felici, ma cos'è la felicità? È un'idea di perfezione, qualcosa di compiuto e completo, non mancherebbe di niente e non dovremmo desiderare altro. → la felicità non è mai strumentale! Il fine è diverso dai mezzi, quest'ultimi sono degli strumenti atti al raggiungimento di qualcosa. Alla fine della catena dei desideri di una persona troviamo la felicità (es. laurea → lavoro → famiglia...). Però non ci dice cos'è la felicità. Per gli antichi i valori aiutano a decodificare il desiderio ma a guidare le nostre scelte è la felicità non quello che crediamo sia bene, la chiave è quindi capire cosa fa felice quella persona. Riassumendo: capire il fine ultimo permette di capire gli ostacoli che si pongono e comprendere le scelte. La causalità finale dell'uomo è la ricerca della felicità. Ci sono diverse idee di felicità per cui ci possiamo ostacolare a vicenda. Es. alcolismo: la persona non cerca alcol per distruggersi ma perché le dà soddisfazione → occorre capire che non tutte le idee di felicità sono equivalenti. E' più efficace parlare di felicità perché il bene può essere qualcosa di buono ma che non ci piace.
Aristotele - Etica Nicomachea
“Infatti noi desideriamo [la felicità] sempre di per se stessa e mai per qualche altro fine; mentre invece l’onore e il piacere e la ragione ogni altra virtù li perseguiamo bensì di per se stessi (infatti se anche si dovessero essere privi di ulteriori effetti, noi desidereremmo ugualmente ciascuno di essi), tuttavia li scegliamo anche in vista della felicità, [5] immaginando di poter essere felici attraverso questi mezzi. Invece la felicità nessuno la sceglie in vista di questi altri beni, né in generale in vista di qualcosa d’altro. Ma anche dall’autosufficienza sembrano provenire gli stessi risultati. Il bene perfetto sembra infatti essere autosufficiente. Noi intendiamo per autosufficienza non il bastare a sé solo di un individuo, che conduca una vita solitaria, ma anche il bastare ai suoi parenti, ai figli, [10] alla moglie e infine agli amici e concittadini, poiché per natura l’uomo è un essere politico.”

Aristotele – Etica Nicomachea
“Perché dunque non chiamar felice un uomo che agisca secondo perfetta virtù e che sia provvisto sufficientemente di beni esteriori, non per un accidentale periodo di tempo, bensì lungo tutta la sua vita? E forse si deve aggiungere ch’egli debba continuare a viver così e debba morire in modo decoroso, giacché il futuro ci è nascosto e noi definiamo la felicità un fine, che sia perfetto assolutamente in ogni parte? Se così è, chiameremo tra i viventi beati colo che posseggono e possederanno le cose suddette, beati invero come può essere beato un uomo.”
Una persona felice è diversa da quella che sperimenta momenti di felicità. Qui c'è:
– il vivere secondo virtù (trattare bene le persone, coraggio, amicizia, arte) ma per fare questo deve avere un numero sufficiente di beni esteriori che mi permettano di vivere il più a lungo possibile nella condizione di avere virtù e beni
– morte decorosa Ma come ci si regola con il fatto che la vita debba finire? La felicità non è da vedere solo alla fine ma per un periodo di tempo continuato il più a lungo possibile. Gli antichi capiscono che occorre posizionarsi in relazione alla nostra morte, si chiedono del dopo: Aristotele riteneva che l'anima esistesse (per Platone il corpo era una prigione dell'anima) ma non si è pronunciato nel dire se sopravvivesse dopo la morte → i cristiani nel Medioevo lo interpretano e vedono nella citazione una vita dopo la morte.
→ quindi c'è una ricerca di felicità, è possibile dire qualcosa della felicità, sono soprattutto cose non astratte e le cerchiamo tutti.

Tratto da ANTROPOLOGIA APPLICATA di Chiara Trattenero
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