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Il desiderio dell'uomo: Stobeo – Eclogae

“Dicono che esser felici è il fine in vista di cui si compie ogni cosa, mentre esso non è in vista di altro. E ciò consiste nel vivere secondo virtù, cioè nel vivere coerentemente o, il che è lo stesso, nel vivere secondo natura. Zenone definiva la felicità in questo modo: “felicità è un corso armonioso di vita”. Anche Cleante si vale di tale definizione nei suoi scritti, e così Crisippo e tutti i suoi seguaci, dicendo che la felicità non è altra cosa che la vita felice, seppur precisando che, se la felicità è da porsi come scopo, il fine è l’ottenere la felicità, che è lo stesso che esser felici".
Stobeo era uno stoico. Lo stoicismo aveva il problema del proprio sostentamento, aveva l'esigenza di far diventare commerciale ciò che veniva studiato, per avere clienti devono entrare in contatto con le persone ed è per questo che avvicinano il loro pensiero alla vita concreta → riflessione sulla felicità. La felicità la consideriamo come fare un'attività (sono felice quando leggo – ma non posso sempre leggere), ma quando smettiamo di fare quella come possiamo dirci felici? Capiamo subito che la felicità non può essere solo questo, capiamo che la felicità è legata al nostro essere ma automaticamente la colleghiamo ad un'azione finita. Si potrebbe risolvere il problema dicendo che tanto cose che facciamo sono funzionali alla felicità ma questo significa che il prezzo della felicità è portare nella vita l'infelicità. Secondo lui occorre scoprir la bellezza in altre cose.

Tratto da ANTROPOLOGIA APPLICATA di Chiara Trattenero
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