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Inchiesta sulla donna e il problema dell’amore di Rosalia Jacobsen

Il volume provocò la famosa “Inchiesta  sulla donna e il problema dell’amore”, promossa da Rosalia Jacobsen, a cui parteciparono diverse femministe, tra cui la Key che dichiarò che una donna non avrebbe potuto “mai annientare o assoggettare tutta la sua personalità, e contemporaneamente essere un valente membro della famiglia o della società nel senso più vasto della parola”.
Si trattava di una posizione distante dal giudizio formulato dalla scrittrice cattolica Sofia Bisi Albini, che dalle colonne della sua rivista aveva tacciato l’eroina del romanzo di “egoismo” e “prepotente sensualità”. Pure il fronte del femminismo laico non si dimostrò favorevolmente compatto di fronte all’uscita di “Una donna”: alcune come la Malnati e la Montessori espressero un giudizio positivo nei confronti del libro, altre emancipazioniste storiche, come la Mariani e la Majno si mostrarono critiche nei confronti della scelta dell’autrice-protagonista.
Per loro il dominio dei sensi, l’abnegazione, la sublimazione della sofferenza erano quei saldi principi da tradurre in servizio, per la riforma della società. Non era così per Rina Faccio, alias Sibilla Alerami, che con il suo libro immetteva una rottura nella tradizione femminista precedente nel rivelare tutta se stessa di fronte al mondo intero. Solo la Jacobsen e la Key parevano aver compreso fino in fondo quella scelta di spezzare la “mostruosa catena” di mortificazione,di annientamento in nome del “sacrificio della maternità” che si perpetuava da secoli di madre in figlia. Come si apprende da una lettera del 1907 della Aleramo alla Key, quest’ultima era riuscita a cogliere nella decisione della protagonista il rifiuto ad attuare ogni sorta di identificazione con la figura materna.
La Key metteva sotto accusa le leggi e l’organizzazione della società del tempo, ritenendole estremamente punitive nei confronti della condizione materna, costringendo spesso la donna a scegliere tra la sua libertà e la sua dignità o i suoi figli.
Il merito della Key stava nell’aver fatto emergere quel nodo irrisolto della coscienza femminile in merito alla possibilità di coniugare insieme sfera pubblica e sfera privata, maternità e autonomia individuale.  Si rendeva conto che era necessario superare l’ottica rivendicazionista per affrontare una questione che non era esclusivamente politica, ma etico-sistenziale. Invece di voler scimmiottare maniere e costumi maschili occorreva porsi il problema in merito a quella differenza femminile che ciascuna donna poteva imprimere alla realtà partendo dal suo vissuto personale.
La Aleramo in seguito non si riconobbe più nei paradigmi obsoleti del femminismo sociale, che secondo lei finiva per sacrificare le ragione dell’individualità e della singolarità femminile.

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