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Definizione di osmosi

Nel 1748, l'abate Jean Antoine Nollet osservò che in un apparato costituito da una membrana animale (per esempio, la parete della vescica) con ad un lato acqua pura ed all'altro lato una soluzione contenente elettroliti o altre molecole, l'acqua diffondeva attraverso la membrana per passare nella soluzione. Questo movimento dell'acqua seguendo i proprio gradiente di concentrazione fu chiamato osmosi (dal greco osmos, “spingere”). Successivamente si stabilì che l'osmosi produce un gradiente di pressione idrostatica. Infatti la differenza di pressione provoca un innalzamento del livello della soluzione man mano che l'acqua diffonde attraverso la membrana semipermeabile nella soluzione stessa. Il livello della soluzione continua a crescere fin quando il flusso netto dell'acqua attraverso la membrana si annulla. Ciò avviene quando la pressione idrostatica della soluzione nel compatimento II è sufficiente a spingere le molecole d'acqua a ritroso verso il compartimento I con la stessa velocità alla quale l'osmosi spinge le molecole d'acqua in direzione opposta, dal compartimento I al compartimento II. La contropressione idrostatica necessaria per annullare la diffusione viene chiamata pressione osmotica della soluzione nel compartimento II. Comunque, l'osmosi è alla base del movimento netto di acqua attraverso le membrane cellulari e gli epiteli. Per capire meglio questo punto, basta considerare una soluzione acquosa 1,0 M di saccarosio e un'altra 0,01 M dello stesso zucchero messe a contatto da una membrana. In queste condizioni, si assisterà ad una diffusione netta di molecole d'acqua dalla soluzione meno concentrata (0,01 M) a quella più concentrata (1 M) e contemporaneamente il saccarosio diffonderà in direzione opposta fino al raggiungimento dell'equilibrio. In generale, la pressione osmotica π è proporzionale non solo alla concentrazione del soluto C, ma anche alla temperatura assoluta T:                           π = K1C   e  π = K2C
dove K1 e K2 sono costanti di proporzionalità . Inoltre, si è visto che le molecole di soluto seguono in soluzione un comportamento simile a quello delle molecole di gas. Pertanto (usando la legge dei gas):  π = RTC ovvero                                       π = nRT/V
dove n è il numero di moli equivalenti di soluto, R è la costante molare dei gas e V è il volume in litri. Due soluzioni che esercitano la stessa pressione osmotica attraverso una membrana permeabile solo all'acqua, si dicono isosmotiche tra loro. Se una soluzione esercita una pressione osmotica inferiore ad un'altra, si dice iposmotica rispetto a quest'ultima; se, invece, esercita una pressione osmotica maggiore, si dice iperosmotica. L'osmolarità è definita sulla base di un osmometro ideale in cui la membrana osmotica permette il passaggio dell'acqua ma impedisce completamente quello dei soluti. La tonicità di una soluzione, invece, è definita in base al comportamento di cellule o tessuti immersi in una data soluzione. Si dice che una soluzione è isotonica con una data cellula o un dato tessuto se questi, una volta immersi in essa, non si restringono e non si rigonfiano. Se il tessuto si rigonfia, la soluzione è detta ipotonica col tessuto mentre, se il tessuto si restringe, la soluzione è detta ipertonica. Questi effetti sono dovuti al movimento di acqua attraverso la membrana cellulare in risposta alle differenze di pressione osmotica esistenti tra il mezzo intracellulare ed extracellulare. Ad esempio, le uova del riccio di mare mantengono un volume costante quando vengono poste in una soluzione di NaCl, mentre si rigonfiano se vengono poste in una soluzione CaCl2. Si vede quindi che la prima soluzione si comporta isotonicamente mentre la seconda ipotonicamente nei confronti delle uova.

Tratto da FISIOLOGIA: UN APPROCCIO INTEGRATO di Domenico Azarnia Tehran
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