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Output prodotti dall'ospedale


Un altro problema nell'analisi della produzione ospedaliera è rappresentato dall'estrema eterogeneità degli output prodotti. In linea teorica, ogni soggetto ricoverato rappresenta un output, una “y”, ma poiché la funzione di produzione non può essere calcolata per ogni individuo, classifico i pazienti trattati secondo un numero ridotto di categorie che presentino il maggior grado di omogeneità interna (es. per gravità di patologia).
Dunque, come misuro l'efficienza di un ospedale pubblico o privato che sia?
Prendo gruppi di ospedali che hanno uguali condizioni di partenza e misura l'efficienza relativa, in base ad un modello di riferimento (Benchmark), ovvero in base alla struttura che lavora meglio; scelgo una tecnica per calcolare l'efficienza e definisco una regola per studiare come posso migliorare le strutture peggiori in base a quelle migliori.
In sintesi, abbiamo tre fasi:
1. applico la teoria economica: quale impresa produce meglio a parità di input? Quale produce output a costi minori? Individuo un Benchamark.
2. Tecniche di confronto fra strutture.
3. Calcolo la scarto tra strutture peggiori e migliori.
Problemi: se ho due ospedali ed uno di essi è più costoso, ma in esso ci sono costi più complessi: non posso classificarlo come on efficiente perchè devo considerare la casistica che tratta (case mix): vi è la necessità di standardizzare la casistica; oltre agli input – per individuare la funzione di produzione di un ospedale – ci si avvale anche di indici, quali: la percentuale di occupazione di posti letto; la durata media del ricovero; la percentuale dei pazienti trattati in ogni età produttiva. Tuttavia, è fondamentale – per ottenere indicatori omogenei della produttività degli ospedali – standardizzare i ricoveri sulla base del case mix osservato (complessità della casistica trattata):
standardizzazione del rischio, risk adjustment: in letteratura sono stati elaborati diversi indici di rischio con il proposito di identificare, ponderare e sintetizzare le caratteristiche del paziente che influenzano la probabilità di specifici eventi (mortalità, ecc.).
i modelli utilizzati misurano su scala ordinale la gravità o lo stato di salute dei soggetti ricoverati e quindi la maggiore o minore probabilità del verificarsi dell'evento in questione a seguito di un trattamento o episodio di ricovero.
Es: ricovero un soggetto per insufficienza renale (diagnosi principale) e successivamente scopro delle co-morbilità (descritte dal c.d. “charlson index”), ovvero diabete e ipertensione. Se questo soggetto è un uomo di 35 anni avrò un indice di rischio molto più basso rispetto a quello che avrei se il soggetto in questione fosse un 83enne: otterrei output diversi, sostenendo costi diversi.
Per aggiustare il rischio – ovvero per ridurre il paziente dalla gravità di cui è portatore – posso far riferimento ai parametri clinici e fisiologici normalmente presenti nella cartella clinica e/o alle informazioni contenute nelle schede di dimissione ospedaliera: sintetizza la cartella clinica e viene compilata dal medico una volta che il soggetto è stato dimesso. Le informazioni, poi, vengono elaborate elettronicamente e da esse posso sapere chi è il paziente, chi è il suo medico, la diagnosi principale, secondarie, ecc. Si tratta di codici numerici, definiti tramite la classificazione internazionale delle malattie (ICD) , in cui ogni DIGM rappresenta una caratteristica della malattia del soggetto (es. diabetico, iperteso, con problemi di reni). La SDO viene poi trasmessa alla regione e in seguito al ministero, permettendoci di avere informazioni su ogni costo trattato – meno precise della cartella clinica – ma più a basso costo e che ci permettono di aggiustare il rischio.

Tratto da ECONOMIA SANITARIA di Angela Tiano
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