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Risorse idriche e conflitto israelo-palestinese

La Terra è un pianeta azzurro: l’acqua occupa il 71% dell’intera superficie, cioè 1.500 milioni di km3. Di questi, però, solo una piccolissima parte è immediatamente utilizzabile dall’uomo. Di questo 2,5%, però, solo lo 0,008% è costituito da acque immediatamente utilizzabili dall’uomo, perché il resto è dislocato in zone non direttamente raggiungibili (es.: nei ghiacciai).
L’acqua va divenendo una risorsa importante per gli stati che ne reclamano una gestione i cui effetti, di volta in volta, sono negativi o per la propria popolazione interna o per quella di stati confinanti o comunque interessati nel bacino fluviale. Per di più, alcuni mutamenti climatici, come il processo di desertificazione o il surriscaldamento del pianeta, rendono ancora più preziosa l’acqua.
I benefici effetti sanitari sui livelli demografici hanno comportato nel corso del XX secolo un boom della popolazione mondiale, con il conseguente bisogno di una crescente quota idrica. La popolazione si è, però, andata distribuendo sul territorio in modo difforme, a volte concentrandosi in alcune aree e in determinate conurbazioni (Nord Europa, USA, Cina, Giappone, …).
Con la crescita della popolazione e la sua concentrazione territoriale, il fabbisogno dell’acqua cresce parallelamente, a volte in misura esponenziale. Ma non sempre l’acqua è disponibile nella misura e nei modi necessari; anzi, si stima che dal 1970 a oggi la quantità d’acqua disponibile pro capite a livello mondiale sia diminuita del 40%.
L’ emergenza idrica è in particolare un problema dei paesi in via di sviluppo: si calcola che circa 1 miliardo e mezzo di persone non abbia regolare accesso all’acqua potabile e che ciò causi la morte di circa 5 milioni di persone a causa di malattie legate a condizioni igieniche insufficienti e all’inquinamento dell’acqua.
Nei paesi in via di sviluppo, spesso le multinazionali svolgono un’azione ulteriormente inquinante: l’uso intensivo di pesticidi ha inquinato le falde al punto che si trovano tracce di arsenico nelle riserve idriche del Bangladesh, dove quella medesima acqua viene utilizzata per l’irrigazione dei campi.
Ad ulteriore conferma delle sperequazioni tra paesi sviluppati e non,
un abitante dei paesi industrializzati utilizza mediamente 400-500 litri d’acqua al giorno, mentre
un abitante dei paesi in via di sviluppo ne può avere 20 litri entro un raggio di 1 km dalla sua abitazione.
L’acqua dolce viene utilizzata per il 70% circa a scopi agricoli, ma a causa di sistemi d’irrigazione inadeguati il 60% di essa evapora o è riversata nei fiumi e nelle acque sotterranee.
Le stime dell’ONU per il 2025 prevedono un aumento delle aree dove l’ acqua sarà sempre più scarsa: una vasta fascia che abbraccerà l’ Africa del Nord, tutta l’area del Medio Oriente (Turchia compresa), sino a raggiungere il subcontinente indiano.
Si è rilevato che in molte aree le falde freatiche, a causa dell’intenso prelievo, si vanno esaurendo, senza avere il tempo necessario alla propria ricostituzione, mentre la metà delle zone umide nel mondo, fondamentali per gli equilibri degli ecosistemi, è andata scomparendo. Infine, nei paesi in via di sviluppo, le acque reflue e quelle residuali delle lavorazioni industriali per oltre 3 quarti sono riversate nei fiumi senza alcuna opera di depurazione, contribuendo ad aumentare l’ inquinamento idrico.

La preziosa risorsa viene ad essere particolarmente centrale non solo per lo sviluppo dei popoli, ma per la loro stessa sopravvivenza.
Da questo quadro derivano pericolose potenzialità conflittuali, che sono state identificate e registrate nel numero di circa 300. Gli idroconflitti sono più preoccupanti poiché l’emergenza acqua è un dato certo ed indipendente dalle variabili classi politiche dirigenti.
Attualmente il mondo è percorso da guerre e crisi, che, oltre a falciare numerose vite umane, impoveriscono, se non distruggono, l’economia dei paesi coinvolti; la maggior parte di essi è concentrata nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, in Africa e in Asia soprattutto. Tali guerre vengono combattute nell’indifferenza e nel silenzio dei mass media e dell’opinione pubblica → guerre dimenticate, dove forze regolari, paramilitari e altri gruppi armati, si scontrano non solo per motivi etnico-tribali, ma anche (e soprattutto) per il controllo delle ricchissime materie prime presenti in tali zone. La spesa militare, tra l’altro, è uno degli indicatori delle tensioni potenziali o in atto a livello regionale o mondiale.
Eserciti più o meno preparati, forze paramilitari, gruppi ribelli appaiono essere largamente dotati di armi, che usano ampiamente in conflitti dove la popolazione è andata divenendo sempre più l’ obiettivo prioritario. Non è casuale che i milioni di profughi e di rifugiati siano soprattutto in Africa e in Asia.

Si formano grandi comunità accampate in condizioni disperate, dove ancora una volta a pagare il prezzo maggiore sono i più deboli (bambini, donne, vecchi); basti pensare ai bisogni primari delle folle presenti in queste immense tendopoli, al cibo e all’acqua necessari per la loro sopravvivenza.
Operare sullo scacchiere mondiale su una questione vitale come quella della risorsa idrica è una delle sfide più difficili che l’ONU è chiamata oggi a sostenere. Si calcola che il rifornimento di acqua potabile a coloro che ne sono sprovvisti richiederebbe un investimento tra i 14 e i 30 miliardi di dollari all’anno, oltre ai costi della gestione mondiale, che si aggira sui 30 miliardi di dollari all’anno.
Il volume finanziario è rilevante, al punto che alcuni paesi hanno cercato diverse strade per far fronte ai costi elevati di questo settore, seguendo le indicazioni della Banca Mondiale e affidandolo ai privati → il passaggio alle società private costringe gli utilizzatori dell’acqua a doversi rapportare con una logica di mercato, per cui l’acqua diviene un bene commerciale, soggetto agli aumenti di prezzo decisi dal venditori.
La privatizzazione è attualmente una realtà che controlla il 7% del mercato mondiale, con la prospettiva del raddoppio della quota entro il 2015.
La privatizzazione della gestione delle acque può essere
da un lato, una scelta economica finalizzata al risparmio e ad una razionalizzazione della distribuzione
dall’altro, una pericolosa delega in bianco a soggetti esterni indifferenti all’alto valore sanitario e sociale di questo bene, ma ben sensibili alla massimizzazione dei profitti e alla minimizzazione delle spese.
A partire dalla fine degli anni ’80, la Banca Mondiale e altre agenzie internazionali di soccorso hanno cominciato a spingere per la privatizzazione dell’acqua basata sulle regole di mercato.
Le argomentazioni a favore della privatizzazione si sono basate per lo più sulle scadenti prestazioni del settore pubblico, i cui dipendenti, giudicati spesso come personale in eccesso, sarebbero stati i principali responsabili della bassa produttività delle aziende idriche pubbliche.
Dall’inizio degli anni ’90, la Banca Mondiale ha rafforzato questa politica, spingendo soprattutto i paesi in via di sviluppo per la realizzazione di questo processo, ritenuto indispensabile per garantire l’accesso all’acqua nei paesi in cui questa risorsa rappresenta, ancora per molti, un bene inaccessibile.
È, infatti, pratica comune della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale inserire la privatizzazione dei servizi idrici tra le condizioni di prestito: dei 40 finanziamenti distribuiti dal FMI nel 2000, ben 12 imponevano la privatizzazione parziale o totale della fornitura d’acqua e insistevano sull’introduzione di direttive per favorire il “pieno recupero dei costi” e eliminare i sussidi.
Oggi, però, si è levato un ampio movimento di opposizione a questa politica. I critici sostengono che le imprese private, nei loro tentativi di avanzare delle allettanti offerte d’appalto per contratti a lungo termine, sovente sottostimano i costi necessari alla manutenzione di un sistema idrico; una volta che il contratto è stato aggiudicato e la gestione ha inizio, essi ricorrono a riduzioni del personale e dei costi di manutenzione e a un incremento dei prezzi per ricavare un profitto.
Inoltre, secondo Vandana Shiva, nella pratica non ci sono prove che le aziende private siano più affidabili: le privatizzazioni, al contrario, hanno alle spalle una storia di numerosi fallimenti, di violazione degli standard operativi e, soprattutto, di politiche dei prezzi ingiustificate.
Recentemente, quindi, i conflitti legati all’acqua hanno assunto una nuova forma: si è assistito, in campo economico, a uno scontro tra multinazionali (che hanno spinto per la privatizzazione dei servizi idrici) e la popolazione dei paesi meno ricchi (che ne ha dovuto subire le conseguenze).   ES: Ecuador, Bolivia
La privatizzazione delle risorse idriche nei paesi industrializzati ha ormai raggiunto uno stadio avanzato. Riguardo a questo tipo di gestione delle risorse, esistono 3 logiche organizzative diverse:
1. Francia: gestione delegata per contratto = questa soluzione offre diverse possibilità che vanno dall’appalto alla concessione e permette una grande flessibilità, necessaria per adattarsi ai contesti particolari
2. Germania: società economica mista = caratterizzata da un azionariato privato minoritario e da investitori istituzionali
3. Gran Bretagna: agenzia indipendente = questo metodo è poco popolare e poco coerente con il concetto di gestione delegata, perché si riduce a una semplice cessione di attivi a un privato.
La privatizzazione delle risorse idriche è stata avviata anche in Italia, dove, già nel 1994, la legge Galli aveva stabilito l’obbligo di aggregare, riducendoli, gli enti gestori delle risorse idriche in un unico ambito territoriale e di definire una tariffa unica di ambito. Questa linea ha trovato la sua degna conclusione con l’articolo 35 della Finanziaria del 2002, con cui è stata avviata in modo più netto la privatizzazione di questo settore.
In realtà, gli stessi privati si sono dovuti presto rendere conto delle difficoltà cui andavano incontro: il primo problema con cui si sono dovuti scontrare sono stati gli ingenti costi di avviamento. Inoltre, molto spesso la privatizzazione ha determinato un deciso aumento delle tariffe, ma non un miglioramento del servizio fornito e le conseguenze di questi cambiamenti sono ricaduti, ovviamente, interamente sulla popolazione.

Oggi è aumentata la consapevolezza dello stretto legame esistente tra estrazione legale o illegale delle risorse, traffico di armi, violazioni dei diritti umani, devastazioni ambientali e conflitti; a differenza dell’era della Guerra Fredda, i conflitti di oggi riguardano meno le ideologie e molto di più la lotta per il controllo o il depredamento delle risorse. L’obiettivo-chiave è ottenere un controllo indiscusso sulle risorse e, di conseguenza, i gruppi armati cercano di intimidire e sottomettere la popolazione o di terrorizzarla per spingerla alla fuga.
Dal punto di vista dei paesi industrializzati, dove non si combattono direttamente guerre per le risorse, questo problema è comunque rilevante per lo stretto legame esistente tra queste guerre e il commercio di risorse con i paesi occidentali. La prima causa di questi conflitti, infatti, è la domanda di risorse e di prodotti di consumo dell’Occidente, che finisce per alimentare modelli di sfruttamento illegali, incentivati dall’aumento degli scambi commerciali e dalla liberalizzazione dei mercati finanziari.
Negli ultimi anni, si è sviluppata la forma di conflitto per le risorse idriche, legata all’uso che i paesi fanno delle risorse condivise con altri stati, tra cui, soprattutto, le acque dei grandi fiumi o laghi. Questo è dovuto soprattutto al fatto che, benché si tratti di una risorsa rinnovabile, le cui riserve sono continuamente reintegrate attraverso il ciclo ideologico, in molte zone della Terra si stanno verificando squilibri nel ciclo dell’acqua e situazioni di grave scarsità idrica.
L’incidenza del fenomeno demografico è evidente: l’offerta totale di acqua del pianeta, infatti tende a rimanere costante, mentre la domanda è considerevolmente aumentata, provocando enormi effetti sulla disponibilità idrica pro capite.
Accanto al problema della quantità dell’acqua si è poi imposto all’attenzione quello della sua qualità, gravemente danneggiata dall’inquinamento, che oggi rappresenta una delle principali cause della “crisi dell’acqua”, tanto nei paesi sviluppati, quanto in quelli in via di sviluppo.

Attualmente, da un lato è diminuita la qualità dell’acqua, dall’altro la quantità disponibile deve soddisfare una richiesta costantemente in crescita.
Il problema ha assunto dimensioni tali che in alcune regioni del mondo la scarsità di acqua è diventata una fonte di instabilità economica e politica. Questo ha fatto sì che il valore dell’acqua si sia avvicinato sempre più a quello del petrolio e di alcune ricchezze minerarie, definite risorse strategiche, generando una forte competizione tra gli utenti idrici e, di conseguenza, spingendo i paesi verso dei veri e propri conflitti internazionali:
1. emblematico è il caso del conflitto arabo-israeliano, connesso alla conquista delle risorse idriche,
2. quello del Nilo, fiume condiviso da ben 10 paesi e causa di aspri conflitti, sia prima sia dopo la costruzione della diga di Assuan;
3. a questo bisogna aggiungere il conflitto per i fiumi Tigri ed Eufrate, 2 corsi d’acqua che da migliaia di anni alimentano l’agricoltura in Turchia, Siria e Iraq e che hanno provocato gravi e pesanti scontri tra i 3 paesi. Motivo scatenante di questo conflitto è l’urgenza di imbrigliare i fiumi con dighe o sbarramenti → il gigantesco progetto infrastrutturale del GAP in Kurdistan
In tutti questi casi il problema maggiore deriva dall’incapacità di prevenire e affrontare questo tipo di conflitto; il problema dei conflitti idrici, però, non deve essere sottovalutato: si tratta di una questione estremamente attuale e sempre più pressante, i cui risvolti dipenderanno soprattutto dalla capacità della comunità internazionale e dei paesi coinvolti di favorire un approccio basato sulla gestione comune e pacifica di queste risorse e sulla capacità di stipulare accordi internazionali in grado di garantire questo sviluppo.

La crisi mondiale dell’acqua è ormai sotto gli occhi di tutti.
Contemporaneamente è cresciuta la consapevolezza del problema del sovrasfruttamento di questa risorsa e, conseguentemente, dei pericoli legati alla crescente scarsità idrica.
Si può dire che questa risorsa è caratterizzata da una forte ambivalenza: l’acqua, infatti, se amministrata equamente e solidalmente, potrebbe diventare uno strumento fondamentale per il raggiungimento della pace tra Stati, come all’interno dei singoli stati; altrimenti continuerà a essere fonte di guerre.

La domanda da porsi è quale sarà il futuro di questa risorsa e, soprattutto, come bisogna intervenire nella gestione affinché possa effettivamente trasformarsi in uno strumento di cooperazione e di pacificazione tra Stati. Per ottenere questo risultato sarà necessario porre in atto una serie di misure in grado di favorire un’inversione di tendenza:
1. il primo passo deve essere quello di garantire a tutti, in particolare ai cittadini più svantaggiati, la fornitura in quantità sufficiente di acqua potabile.
L’acqua deve essere considerata un diritto fondamentale che non può essere assoggettato ad alcun principio settoriale e parziale di regolamentazione.
Lo strumento più appropriato per ottenere questo riconoscimento potrebbe essere quello di dare vita a costituzioni che garantiscano un accesso minimo alle risorse idriche, un diritto mondiale all’acqua, da fare approvare in ogni paese e, contemporaneamente, lottare anche a livello nazionale affinché vengano approvate leggi a tutela di questo bene e dei suoi consumatori.
ES: l’iniziativa, nata nel 1998 per volontà di Riccardo Petrella, del Contratto mondiale per l’acqua, il cui obiettivo è proprio quello di contrastare la petrolizzazione dell’acqua e di difendere con forza l’acqua come diritto inalienabile dell’uomo
2. bisogna cercare di ridurre la domanda aumentando il rendimento attraverso iniziative, come il riciclaggio dell’acqua e la protezione delle fonti di approvvigionamento. Un’altra strada possibile consiste nella dissalazione dell’acqua di mare (processi di distillazione, sistemi di osmosi inversa)
3. è essenziale eliminare gli sprechi: l’agricoltura deve promuovere pratiche agricole sane per evitare l’inquinamento delle sorgenti; l’industria deve garantire un’utilizzazione razionale dell’acqua e abolire le pratiche responsabili dell’inquinamento industriale; per quanto riguarda i consumi domestici è fondamentale che gli utenti prendano coscienza dell’importanza dell’acqua in quanto risorsa

La responsabilizzazione è un fattore chiave per il successo di queste politiche ed è pertanto essenziale la partecipazione degli operatori a livello locale, nazionale e internazionale
4. porre fine ai conflitti internazionali per le risorse idriche  si è fatta strada la necessità di favorire la stipulazione di trattati internazionali, strumento giuridico in grado di vincolare gli Stati al rispetto di principi e di norme giuridiche idonee ad essere applicati ai corsi d’acqua internazionali e a tutti i problemi connessi alla loro utilizzazione e protezione.
Gli esperti sono d’accordo nel ritenere che i trattati relativi ai corsi d’acqua internazionali debbano essere più concreti, enunciando provvedimenti per far rispettare gli accordi stipulati e incorporando dei meccanismi dettagliati per la risoluzione dei conflitti nel caso in cui esplodano delle dispute → III Forum Mondiale dell’Acqua
5. bisogna diffondere la consapevolezza che certi interventi apparentemente economici nell’uso del suolo, quali il disboscamento, la cementificazione, l’ eccessivo sfruttamento agricolo e l’eccessiva concentrazione urbana, rischiano di provocare danni irreparabili ai fiumi e agli ecosistemi che li circondano. L’uomo, infatti, ha abusato della Terra, distruggendone la facoltà di ricevere, assorbire e immagazzinare acqua.
6. bisogna dare vita a un uso sostenibile delle risorse idriche e risanare i sistemi idrografici inquinanti: non si può pensare che l’acqua sia un bene inesauribile e si deve, invece, lavorare affinché specifiche politiche ambientali a tutela di questa risorsa diventino giuridicamente vincolanti
7. strettamente correlato al problema ambientale è quello legato alla costruzione di grandi dighe, capaci di provocare gravissimi danni all’ecosistema, oltre a conseguenze devastanti dal punto di vista economico e della sicurezza: più le dighe sono grandi, più sono causa e oggetto del fenomeno di grandi rischi tecnologici = in caso di incidente, le conseguenze devastanti sull’ uomo (in termini di vite umane), sulla natura (in termini di inquinamento e contaminazione su vasta scala nel tempo e nel territorio), sulla società (in termini di costi economici, disorganizzazione della vita sociale, danni morali) raggiungono proporzioni mai raggiunte prima.

L’attuazione dell’insieme di queste misure è il presupposto imprescindibile per realizzare la pace tra le nazioni  che lottano per l’oro blu.
Tuttavia, è necessario ribadire che il successo dipende soprattutto dalla crescita di una cultura capace di riconoscere che il diritto all’acqua significa diritto alla vita; qualunque altro approccio è destinato a fallire  l’obiettivo deve essere quello di arrivare a una gestione democratica delle risorse idriche, poiché se si costruisce la democrazia si costruiscono anche la cooperazione e la pace.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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