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L'impero ottomano e le minoranze


L’impero ottomano era perennemente in conflitto con le sue minoranze macedone, greca, serba, albanese o armena. Questi conflitti furono affrontati in termini di diritto internazionale con il trattato di Berlino del 1878 che poneva fine alla guerra russo-turca e che inserì la situazione degli armeni tra le preoccupazioni della diplomazia internazionale.
La questione armena è innanzitutto un problema regionale le cui origini risalgono al 1840-60, quando le province orientali dell’impero, dove c’è il 70%  dei 2 milioni di armeni ottomani entrano in una fase di anarchia amministrativa. Le cause sono molte: i notabili rifiutano la centralizzazione iniziata durante il Tanzimat (periodo tra il 1839 e 76 quando furono intraprese riforme liberali e di modernizzazione finalizzate ad arrestare il declino dell’impero), il potere illimitato dei capi delle tribù curde, la maggiore importanza dei capi e degli ordini religiosi, l’afflusso di 3 milioni di rifugiati musulmani a causa della crisi dei Balcani e del conflitto con la Russia. Il risultato è un deterioramento delle condizioni di vita degli armeni. L’ostilità alla centralizzazione di Costantinopoli si traduce nella mancata osservanza dei rescritti imperiali finalizzata a promuovere l’uguaglianza giuridica tra musulmani e non. Con l’autonomia dei distretti curdi viene introdotto il sistema della doppia imposizione fiscale. L’insediamento di rifugiati musulmani in condizioni di miseria avviene in un clima di risentimento generale nei confronti dei contadini cristiani proprietari di terre. Le autorità religiose strumentalizzano questa intolleranza diffusa reclamando l’espropriazione delle terre armene. Quando Abdul-Hamid sale al trono nel 1876, 20 anni di minacce e soprusi hanno gia indebolito la comunità armena.

Tratto da IL SECOLO DEI GENOCIDI di Filippo Amelotti
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