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Riforma luterana e potere secolare


La reazione della chiesa di Roma alla diffusione delle tesi luterane non fu immediata e l’atteggiamento di papa Leone X fu di spettatore esterno di quella che egli giudicava una delle solite e frequenti liti tra monaci.
Il fallimento della disputa di Lipsia condotta da Lutero e il teologo Eck, accanito sostenitore dell’infallibilità del magistero interpretativo della chiesa, da una parte convinse la curia romana ad abbandonare la fiducia che Lutero si recasse a Roma per definire la propria ritrattazione e dall’altra lo spinse a considerarsi tale ed agire di conseguenza. Ne risultò che Leone x con la bolla papale Exsurge domine et iudica concedeva 2 mesi di tempo a Lutero affinché ritrattasse pubblicamente le proposizioni eretiche, pena la scomunica e la distruzione della stessa che Lutero bruciò pubblicamente e la successiva scomunica. L’eco suscitata dal dibattito aperto da Lutero che si era spinto a chiedere addirittura la convocazione di un concilio che dirimesse la questione, non solo aveva raggiunto trasversalmente la società tedesca ma stava interessando gli elementi più vivaci del ceto dirigente che avevano precocemente intravisto le possibilità di un utilizzo in senso politico di ideali religiosi
La rottura con la chiesa di Roma aveva significato il rifiuto del principio universalistico e sovranazionale e l’esaltazione del Cristianesimo comunitario delle origini. Tale legame si manifestò a partire dagli sviluppi immediati della riforma allorché molte città tedesche decisero l’adesione alla confessione riformata. La riforma cittadina era destinata a segnare l’intero fenomeno del protestantesimo. Il fenomeno fu favorito dalla particolare struttura geopolitica dell’area tedesca nelle quali le città godevano di particolari autonomie e libertà tradizionali. Giocò un ruolo attivo il ceto borghese cittadino che acquistava attraverso il controllo privilegiato del fattore religioso anche una posizione politica di maggior rilievo.
La tendenza alla secolarizzazione dell’ecclesiastico e alla santificazione del secolare che era una delle caratteristiche dell’insegnamento luterano finì per produrre una politicizzazione della riforma stessa. Tale tendenza interessò anche entità politiche più vaste, i principati territoriali i cui signori scorsero nel fenomeno riformato alcune potenzialità da sfruttare: in primo luogo l’opzione in favore della nuova confessione scismatica permetteva loro di intraprendere una politica volta all’incameramento delle proprietà ecclesiastiche presenti sul territorio della loro giurisdizione, aumentando le proprie finanze; inoltre essa favoriva il rafforzamento di volontà e tendenze autonomistiche nei confronti dell’influenza imperiale, permettendo di iniziare una politica di alleanze interregionali che sancissero la fine delle pretese di universalismo politico dell’impero stesso; infine l’adesione alla riforma religiosa permetteva un utilizzo della stessa a fini propagandistici: da un lato il principe riformato poteva presentarsi all’interno del proprio territorio come la massima autorità anche in ambito religioso, dall’altro ciò gli consentiva di appropriarsi di un utilissimo strumento per la creazione e gestione del consenso politico dei ceti sui quali egli appoggiava il proprio potere.
Lutero avvertì tali problematiche e fu consapevole dell’integrazione tra dimensione religiosa e politica sulla quale la riforma andava a innestarsi. Lutero doveva necessariamente appoggiarsi ad autorità politiche compiacenti soprattutto dopo l’accusa di eresia e la scomunica. Nella trilogia degli scritti teologici che gettavano le basi teoriche della riforma spicca l’appello “alla nobiltà cristiana di nazione tedesca sul miglioramento dello stato della cristianità”. Nello scritto indirizzato alla “serenissima e potentissima maestà imperiale e alla nobiltà cristiana di nazione germanica egli. Partendo dal principio del sacerdozio universale secondo il quale ciascun credente è sacerdote, giunge a sostenere la preminenza dell’autorità secolare su quella ecclesiastica in quanto il potere temporale ha per propria funzione il diritto di preminenza nei confronti del ministero specializzato.
Nel 1520 Lutero ancora sperava in un intervento positivo da parte del neoeletto imperatore Carlo V senza comprendere che l’impero si trovava di fronte a una strada obbligata: quella della assoluta conferma del tradizionale ruolo di defensor fidei.

Tratto da LA NUOVA SPIRITUALITÀ DELL'ETÀ MODERNA di Filippo Amelotti
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