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L’assolutismo illuminato della dinastia Qing

Con la morte di Shunzhi nel 1661 salì al trono il giovane imperatore Kangxi, di soli sette anni, sotto al tutela di quattro reggenti. Il potere effettivo fu tuttavia detenuto solo da uno di questi, Oboi. Egli completò abilmente la stabilizzazione del potere della monarchia ma si rese anche protagonista di un ritorno in auge delle vecchi strutture di potere mancesi: furono ad esempio -e non si può dire che non fosse una scelta saggia- cacciati tutti gli eunuchi da corte. 
A differenza di Shunzhi (che dimostrava maggiore inclinazione per il misticismo che non per le faccende di governo), suo figlio Kangxi fu un sovrano di grandi capacità ed energia, che a quattordici anni iniziò ad assumere le redini del comando, e che a sedici si sbarazzò del potente reggente Oboi. Con la presa di potere di Kangxi riprese il processo di sinizzazione del governo Qing, interrottosi durante Oboi. Kangxi si rese conto per ridurre definitivamente il potere della nobiltà mancese era necessario il superamento del suo tradizionale sistema aristocratico-collegiale attraverso l’ulteriore rafforzamento del sistema burocratico-amministrativo proprio della storia imperiale cinese. Perciò non si limitò a reintrodurre istituzioni che erano state proprie dei Ming, ma si fece egli stesso promotore dell’ideologia neoconfuciana, cercando di guadagnarsi le simpatie degli alti funzionari. A differenza di Oboi, Kangxi si rese conto che potevano essere fatte concessioni alla classe dirigente cinese, senza minare la stabilità dai Qing. Così, per riportare a corte tutti quei letterati che avevano rifiutato incarichi nella nuova dinastia per lealtà verso i Ming, indisse nel 1679 una sessione di esami straordinari e invitò numerosi studiosi ai lavori per la compilazione della storia ufficiale della Ming. Dei 202 studiosi di grande reputazione che furono invitati, ben 152 risposero positivamente e trovarono impiego presso l’Accademia imperiale.
Kangxi dimostrò una grande apertura mentale e nonostante la priorità attribuita al confucianesimo, non pose alcun ostacolo alle altre religioni. Dimostro inoltre grande simpatia e curiosità per i gesuiti, limitandone tuttavia l’attività alla capitale. Se nel 1705 i sui rapporti con i gesuiti si deteriorarono, ciò dipese dall’atteggiamento intransigente assunto dalla Chiesa cattolica sulla “questione dei riti”, la controversia sorta fra gli ordini missionari intorno alla liceità o meno per i convertiti cinesi di continuare ad onorare Confucio e i propri antenati accanto alle divinità cristiane. Tale controversia fu risolata da Roma nel 1704 a favore della posizione rigorista dei domenicani e dei francescani, e contro quella più lungimirante dei gesuiti. Questa decisione fu considerata da Kangxi come un’indebita interferenza della Chiesa di Roma sulle questioni interne dell’Impero.
Kangxi si contraddistinse anche per la sua posizione di obiettività nelle contese fra mancesi e cinesi, preoccupandosi principalmente di colpire la corruzione e la slealtà. Volle anche rendersi personalmente conto delle condizioni delle popolazioni locali, intraprendendo fra il 1684 e il 1705, cinque viaggi d’ispezione nel meridione dell’Impero. Costante fu il suo interesse per il miglioramento delle condizioni economiche del paese. Grandi lavori furono svolti per la regolazione delle acque del Fiume Giallo e per la sistemazione del Gran Canale. Notevole fu anche il suo zelo nel patrocinare le lettere e le arti, e nel promuovere la cultura. Nel complesso quindi il regno di Kangxi fu un periodo di buon governo, che incarnò alla perfezione gli ideali confuciani di benevolenza e di autorità, di equità e di cultura. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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