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Il ritratto


Nella metà del XIX secolo si assiste a una vera e propria rivoluzione con l’introduzione del collodio umido.
Il collodio umido prevedeva un procedimento basato sull’uso del negativo su vetro e una successiva produzione di immagini su carta. La carta generalmente impiegata era la cosiddetta carta albuminata, caratterizzata da dettagli molto nitidi e tonalità sul grigio e sul marrone.
Il problema principale è che la fase dello sviluppo doveva avvenire subito dopo la cattura delle immagini, altrimenti il collodio si sarebbe asciugato e diventato quindi impermeabile.
Questo problema si presentava soprattutto nel caso delle fotografie all’aria aperta, caso in cui bisognava portarsi dietro qualcosa che fungesse da camera oscura, come un carro aperto o una tenda, e i prodotti chimici necessari.

Per ovviare a questo problema si cominciarono a sensibilizzare le lastre di vetro con sali d’argento mescolati a collodio umido.

Tipologie di immagini ottenute con il collodio umido più frequenti:
• Immagini in formato stereoscopico → procedimento che assicurava un effetto di tridimensionalità, in quanto vi erano due immagini dello stesso soggetto scattate da fotocamere a due obiettivi.
• Il ritratto, che diventa il genere di riferimento inizialmente presso le classi più abbienti poi, una volta diminuiti i costi, anche presso la medio-bassa borghesia.
Per la borghesia, il ritratto rappresentava una forma di autorappresentazione e un modo per affermare la propria immagine nella società.
Successivamente permetterà anche ai meno abbienti di conservare in qualche modo dei ricordi, tramandando quindi l’immagine dei propri simili.

Da questo traspare → fotografia come risposta a un bisogno sociologico solidificare la propria immagine in termini identitari agire in qualche modo sulla mortalità del singolo individuo.
Quando il ritratto diventa “moda”, si diffondono i fotografi urbani, i quali agiscono al di fuori dei centri più popolosi permettendo quindi anche a chi abitava lontano di ritrarre.

• Il biglietto da visita → fotografia su carta, incollata su un cartoncino delle dimensioni di 10x6cm. → metteva in risalto l’abito, la condizione sociale, ma anche le peculiarità fisiche.
Questo tipo di immagine era sempre a figura intera, quindi non vi era la possibilità per il fotografo di sfoggiare il suo talento né di approfondire la psicologia del personaggio.

Il biglietto da visita viene introdotto nella seconda metà del XIX secolo da Disderì, il quale brevetta una macchina dotata di 4 obiettivi, attraverso i quali era possibile effettuare riprese di altrettante pose su ciascuna metà di una normale lastra di vetro. Si ottengono così otto immagini distinte, che potevano essere ritratti propri o dei propri cari, ma anche di individui famosi.
L’aspetto più interessante è che spesso venivano raccolte e scambiate, tanto che quest’epoca è nota anche come epoca dell’album fotografico, in cui il contenitore più adatto non è più la cornice ma l’album, che dà alle immagini un valore narrativo.
Possiamo considerare il biglietto da visita come una forma di ritratto a basso prezzo.
La sua produzione aumenta la domanda di ritratti e spesso quella di staff di fotografi che lavorassero assieme.
Esistevano anche i cosiddetti coloristi, professionisti in grado di colorare il positivo e ricostruire l’ambiente negli studi fotografici tramite sfondi dipinti e oggetti di scena.

Con l’introduzione del biglietto da visita, Disderì viene accusato di meccanicizzazione della fotografia, cioè di aver privato la fotografia di quell’aurea artistica che finora aveva mantenuto.
Negli anni successivi, tuttavia, saranno molti a dedicarsi a questa forma di ritratto.
Tra questi, il fotografo Nadar, il quale fu prima giornalista e caricaturista.

Avvicinatosi alla fotografia, Nadar lavora a partire dal 1853 ed è tra i primi a scattare con la luce naturale. Egli si dedica soprattutto a ritrarre personaggi famosi nel suo studio: faceva posare i personaggi contro uno sfondo lucido, sotto un lucernario piuttosto alto, in modo da calibrare l’azione delle fonti luministiche. I ritratti non erano quasi mai frontali, ma di tre quarti.

Esempio. "Ritratto di Sarah Bernardht" → L’attrice viene trasformata in una figura classica, avvolta da una tunica il cui drappeggio assicura al ritratto l’illusione di tridimensionalità.

Tra il 1843 e il 1845, David Octavius Hill e Robert Adamson stringono un patto societario e diventano famosi grazie alle foto scattate ai pescatori di una zona a nord di Edimburgo.
Foto dei pescatori:
→ attente ai valori luministici
→ soggetti disposti secondo una configurazione di valore simbolico
→ antecedenti del cosiddetto documentario sociale
Tra i due, Hill era il più creativo e particolarmente attento ai valori del chiaroscuro.
Di Adamson veniva elogiata la mano particolarmente esperta nella fase di stampa.

È importante anche la figura di Lewis Carroll, celebre più come scrittore che come fotografo.
Egli stringe amicizia con la famiglia Liddell, ma in particolare prova interesse verso Alice Liddell, bambina che ritrasse insieme alle sorelle e anche da sola.

Esempio. "Ritratto di Alice Liddell": Alice Liddel nei panni della piccola mendicante → Per la messa in scena della foto Carroll si ispira a un’opera poetica intitolata "La piccola mendicante". Lo sguardo della bambina, che guarda fisso la macchina, appare piuttosto audace.
Alcuni elementi, come i piedi nudi della bambina, hanno attirato l’attenzione degli storici, facendo supporre un’allusione a una certa disponibilità sessuale.

Potremmo citare anche l'opera fotografica di Margaret Cameron intitolata "Beatrice".
Margaret Cameron ritraeva spesso le donne nei panni di eroine classiche e tragiche.
Il soggetto ritratto in Beatrice è in realtà la nipote e dalla foto emerge la volontà di proporre una dimensione non realistica dai margini sfumati. Il ritratto è in primo piano e mette in risalto l’aspetto intimo, accentuato dall’uso di una luce laterale.

Tratto da STORIA DELLA FOTOGRAFIA di Roberta Carta
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