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Il fotogiornalismo


Nel 1931 viene pubblicato il libro fotografico “Contemporanei famosi in momenti spontanei” di Erich Salomomn, fotografo berlinese che ritrasse in maniera quasi ossessiva contemporanei politici famosi colti in momenti spontanei, contribuendo all’umanizzazione di questi personaggi.
Egli era famoso anche per i suoi scatti rubati di incontri importanti al vertice.
La fama di Salomomn deriva da un suo servizio fotografico pubblicato nel 1929, intitolato “Senza posa: quando i grandi non sanno di essere fotografati” e costituito da una raccolta di immagini rubate durante gli incontri tra i politici europei. Inizialmente utilizza la Ermanox, poi fa ricorso alla Leica, che gli consente di muoversi con la massima discrezione, tanto da essere noto come “l’Houdini della fotografia”. Salomomn era abilissimo nel progettare stratagemmi quasi da spia per testimoniare l’attualità, tra cui la decisione di non ricorrere né al cavalletto né al flash.

Esempio 1. Aristide Briand indica Salomomn e urla “Eccolo! Il re degli indiscreti!”. 1931. → il gruppo di politici immortalato reagisce alla presenza del fotografo in modo scherzoso, come se fossero abituati o avessero con lui una sorta di complicità.

Questi suoi scatti hanno segnato la nascita di un nuovo genere fotografico: il fotogiornalismo.

Il fotogiornalismo deve la sua affermazione definitiva all’affermarsi di nuove tecnologie intorno alla metà degli anni ’20, tra cui
→ la fotocamera Ermanox
→ la fotocamera Leica,
che si avvaleva di una pellicola 35 mm ed era dotata di un meccanismo particolare che consentiva la sincronizzazione tra caricamento dell’otturatore e avanzamento della pellicola. La Leica prevedeva tempi di esposizione molto brevi e uno scatto silenzioso.
Queste due fotocamere rivoluzionano in particolare il settore della stampa illustrata. La Ermanox e la Leica erano macchine fotografiche piccole, quindi più maneggevoli, che realizzano immagini di ottima qualità e possono essere anche facilmente nascoste.

Sono anni contrassegnati anche alla diffusione dei periodici, che facevano ampio affidamento sullo strumento fotografico:
• Nel 1927 nasce la rivista AIZ a Berlino, rivista ufficiale del movimento operaio tedesco, che ospiterà i fotomontaggi di Heartfield.
• Nel 1928 nasce la rivista Vu in Francia, famosa per i suoi reportage storici.
• Nel 1923 nasce la rivista Time negli U.S.A.
• Nel 1930 nasce la rivista Fortune negli U.S.A.
• Nel 1936 nasce la rivista Life negli U.S.A.
• Nel 1937 nasce la rivista Look negli U.S.A.
• Nel 1938 nasce la rivista Picture Post in Inghilterra.
Questi periodici rappresentano i capisaldi di un’editoria di tipo popolare e riescono non solo ad imporsi sul mercato, ma anche ad imporsi sull’immaginario collettivo.

L’impiego sistematico delle foto assicura a queste riviste un valore veridditivo nei confronti dei fatti, che vengono documentati attraverso le foto, che conferiscono loro quel tasso di credibilità che le sole parole non conseguivano.
In virtù di questo le foto vengono spesso utilizzate per la propaganda, sia sul piano politico sia sul piano culturale. La rivista Life, per esempio, diventa infatti un veicolo di diffusione dell’american way of life.

Significativa è per esempio l’opera di John Heartfield, che nel 1935 scatta la foto intitolata Evviva! Il burro è finito!: foto che presenta un evidente carattere polemico e fortemente critico nei confronti del partito nazista e delle sue parole d’ordine, critica evidenziata dalla presenza sullo sfondo di una foto di Hitler.
Questa esperienza del fotogiornalismo è legata anche a una specifica ideologizzazione di questo ambito.
Heartfield era esperto nel fotomontaggio e non faceva nulla per nascondere questo tipo di manipolazioni, anzi, le spinge alle estreme conseguenze, allo scopo di svelare le ipocrisie del potere e delle forme di propaganda a cui può essere piegato lo strumento fotografico.

In questi anni lo strumento fotografico diventa anche significativo per la moda, grazie alle figure di fotografi come Martin Munkàcsi, Kertesz e Steichen.

Gigante del fotogiornalismo è Robert Capa, fotografo ungherese nato a Budapest nel 1913.
Nella seconda metà degli anni ’30 scatta una serie di fotografia durante la Guerra di Spagna, considerata la prima guerra fotografica, non perché nessuno prima di allora avesse prodotto scatti relativi a conflitti bellici, ma in quanto prima guerra documentata dal punto di vista fotografico in senso moderno. La Guerra del Vietnam è invece considerata l’ultima guerra fotografica prima dell’avvento della televisione, che soppianterà la fotografia come medium privilegiato per la documentazione di eventi bellici.
Significativo per la formazione di Capa è il biennio 1931-1933 trascorso in Germania e il suo legame con Gerda Taro. Alla fine degli anni ’30 si trasferisce negli Stati Uniti, dove comincia a lavorare per la rivista Life e segue l’avanzata delle truppe alleate durante il conflitto mondiale.
Nel 1947 sarà tra i fondatori dell’agenzia Magnum. Nel 1954, Capa muore mentre in Indocina.

Esempio 1. "Il miliziano colpito a morte
", che immortala un miliziano dell’esercito repubblicano durante la Guerra di Spagna nel 1936. C’è chi ha affermato che Capa sia riuscito a cogliere in diretta la morte del miliziano in combattimento, mentre altri hanno affermato che l’uomo sia stato ucciso mentre posava per lo scatto. Altri ancora ritengono che i combattimenti documentati da Capa siano avvenuti dopo il settembre del 1936.
Esempio 2. "Sbarco americano a Omaha Beach", 1944: per scattare la foto, Capa si immerge in acqua insieme ai militari alleati, dotato di due macchine fotografiche con obiettivi 50 mm e pellicole di riserva. La foto risulta danneggiata in quanto, una volta spedita al laboratorio di sviluppo e stampa, l’assistente, che era poco pratico, lavorò a temperature troppo alte. La foto risulta quindi fuori fuoco, sgranata e scarsamente definita. L’effetto mosso, nonostante allontani lo scatto dai canoni fotografici, gli conferisce grande drammaticità.

La Guerra di Spagna, soprattutto grazie all’attività di Capa, definisce quelli che sono gli elementi tipici del fotoreporter:
• Vicinanza agli eventi.
• Sprezzo totale del pericolo.
• Volontà di testimoniare attraverso immagini reali ma emblematiche.
• Resa del carattere drammatico.

Altro nome significativo è quello di Cartier Bresson, fotografo francese figlio della “buona borghesia”, il quale partecipa durante la sua attività fotografica alla Guerra di Spagna, che riesce a documentare anche attraverso lo strumento cinematografico. Egli collabora anche con alcune riviste ed è al centro del progetto Magnum.
Bresson alterna momenti in cui predomina la dimensione artistica con momenti maggiormente riconducibili al fotogiornalismo. Nel primo caso, spesso rivendica l’importanza del valore documentario, e viceversa quando scatta foto di natura fotogiornalistica sembra comunque molto attento all’aspetto formale.

Nel 1952 pubblica il libro fotografico intitolato L’attimo decisivo:
• 126 riproduzioni
• Didascalie raggruppate a blocchi, in modo da non ostacolare la dimensione puramente visiva.
• Ricerca del climax del momento chiave sul piano narrativo, cioè l’attimo decisivo.
• Commistione di vitalità e leggerezza.

Esempio 1. "Madrid",
1933. → lo sfondo bianco del muro si staglia sulla figura dei bambini, disposti in una posizione apparentemente studiata in modo simmetrico, ma in realtà frutto della ricerca del climax.
Esempio 2. "Trafalgar Square il giorno dell’incoronazione di Giorgio VI" → Bresson si apposta davanti ai cittadini britannici giunti a Trafalgar Square per l’incoronazione del nuovo sovrano e immortala il momento decisivo del signore che, forse perché giunto troppo presto, si addormenta nella piazza.

In alcuni scatti di Bresson emerge anche una formazione di tipo pittorico, legata alla pittura impressionista/post-impressionista francese.
Esempio 3. "Francia, domenica sulle rive della Marna", 1938. → anche questa foto è basata sulla ricerca del climax, anche se traspare una certa spontaneità. Ricorda per certi versi il film di Jean Renoir “La scampagnata”.

Significativa è anche l’attività di Bill Brandt e Margaret B.White.

• Bill Brandt era stato assistente di Men Ray, esperienza che si unirà alla volontà di documentare il classismo della società inglese, avvicinandolo quindi al fotogiornalismo. Qualcuno ha parlato di lui come di un “reporter surrealista”, in quanto riesce a combinare elementi apparentemente incompatibili, come l’impegno sociale, l’intento informativo, lo sguardo personale e spesso ironico e l’avversione per i pregiudizi.
Brandt utilizza un flash a bulbo, che gli permetteva di scattare anche in interni bui.
Egli non è però animato da una vera e propria intenzione di oggettività e realismo, ma era attento alla geometria compositiva delle immagini e all’elemento della casualità.

• Margaret B.White pubblica, nella seconda metà degli anni ’30, il suo libro fotografico intitolato Avete visto i loro volti?, documento sulle condizioni in cui versavano le classi lavoratrici di quegli anni, accompagnato da un testo di Erskine Caldwell.
Alla base di tutto vi è l’esperienza della Photo League, organizzazione indipendente di fotografi, nata nel 1936, fortemente connotata sul piano politico verso una linea progressista. La Photo League organizza mostre, eventi e corsi di fotografia, spinta dalla volontà di documentare le condizioni di vita delle classi lavoratrici.

Altro gigante del fotogiornalismo è Arthur Fellig, fotografo di origini polacche passato alla storia come “Weegee”, uno pseudonimo derivante dal nome di una tavola che veniva utilizzata dai medium per comunicare con i defunti. Questa sua scelta è dovuta alla sua capacità di conoscere sempre il luogo dove doveva recarsi con la sua Chevrolet nel punto esatto in cui si verificavano omicidi e crimini vari.
Fellig era una sorta di outsider autodidatta, abilissimo nel documentare il lato oscuro della vita metropolitana attraverso una serie di scatti molto crudi. Durante la sua attività gli viene concessa dalla polizia di New York la possibilità di sintonizzarsi con le onde radio della polizia, permettendogli di riprendere la scena del crimine in diretta.
Il suo libro fotografico più celebre è intitolato La città nuda, costituito da 200 scatti divisi in 17 capitoli tematici, considerato anche una sorta di autobiografia del fotografo. All’interno, egli mette in scena anche il lato umano che si cela dietro gli autori dei crimini.

Esempio. "Anthony Esposito", accusato dell’omicidio di un poliziotto. 1941 → componente cromatica che fa pensare all’atmosfera dei film noir, gioco di luci e ombre ed emersione del lato umano dell’accusato.
Questo libro sarà alla base del film noir The naked city, girato da Jules Dassin nel 1948 e ispirato proprio alla vita di Weegee.

Tratto da STORIA DELLA FOTOGRAFIA di Roberta Carta
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