Mostre storiche
• Selezione americana, curata da Steichen e Weston.
• Selezione sovietica, curata da El Lissitzky.
Sarà proprio il MOMA a istituire, in piena Seconda Guerra Mondiale, un dipartimento di fotografia, che affida a Newhall e che poi nel 1948 passa sotto la direzione di Steichen.
L’acquisizione di un proprio spazio espositivo all’interno di un museo di prestigio come il MOMA dimostra che la fotografia ha ormai quasi raggiunto il livello di altre arti ad appena un secolo dalla sua nascita.
L’inizio degli anni ’50 rappresenta invece per la Francia il periodo in cui si diffonde una nuova tendenza fotografica, legata a una sensibilità di tipo umanistico e riconducibile al cosiddetto “gruppo dei 15”.
→ lavoro
→ società
Esempio. "Bacio davanti all’Hotel De Ville", 1950. → foto scattata da Doisneau a due ragazzi alle quali chiese di posare per lui. Nonostante fosse frutto di una richiesta esplicita del fotografo, egli riuscì comunque a conferire alla foto un senso di presa diretta con la realtà.
Questa foto di Doisneau contribuì al formarsi dell’immagine di Parigi come città dell’amore nell’immaginario collettivo.
Per l’occasione furono esposte oltre 500 fotografie scattate da 273 fotografi, ma negli anni successivi diventa una mostra itinerante sino al 1962, arrivando a toccare 40 paesi diversi e accumulando 9 milioni di visitatori.
Nell’organizzare la mostra, Steichen la divide in molte sezioni tematiche e insiste sul concetto di fotografia come specchio, quindi sui principi di oggettività e fedeltà nei confronti della realtà, sottolineando la presunzione di realtà che allora era in parte ancora peculiare della fotografia.
La mostra viene tuttavia accusata di a-storicismo, cioè di non storicizzare ogni singola opera e di invece privilegiare una dimensione spettacolare delle immagini, facendo leva sull’aspetto emozionale. Viene tuttavia celebrata la sua natura di “pratica di massa”.
Una delle foto più celebri inserite nel catalogo della mostra è “Il cammino verso il giardino del Paradiso”, foto scattata da William Eugene Smith nel 1946, che ritrae i figli Juanita e Patrick.
Figura importante in questi anni è quella di William Eugene Smith, fotografo statunitense trasferitosi a New York negli anni ’30. Comincia la sua attività come fotogiornalista per periodici come Life e Newsweek, ma si dedica anche alla scrittura di saggi fotografici:
→ Country doctor, 1948, incentrato sulla figura di un medico di campagna americano.
Dopo aver abbandonato questo progetto, le sue ultime opere fotografiche sono collegate alla volontà di documentare le conseguenze dell’inquinamento industriale in Giappone, volontà che rimanda alla sua formazione come fotogiornalista.
All’interno di quest’opera porta alle estreme conseguenze la contraddizione del reportage: secondo Smith, il fotografo doveva essere onesto e di conseguenza è impossibile che sia oggettivo.
Esempio. Tomoko Uemura nel bagno, 1972.
• Nello stesso anno si tiene anche la mostra sulla fotografia soggettiva, curata da Otto Steinert.
Egli chiamava la fotografia soggettiva “creazione fotografica assoluta” in quanto riteneva che, in quanto frutto di importanti esperienze creative della visione, produce immagini che non appartengono agli stereotipi usuali della fotografia.
Le opere esposte erano circa 725 e la dimensione dominante è quella della soggettività autoriale, che rispecchia una cultura volutamente elitaria, legata in parte all’esistenzialismo, all’informale e all’action painting. È dunque nettamente contrapposta al concetto di fotografia come specchio proposto da The Family of Men.
A partire dagli anni ’40, il fotografo Minor White scatta una serie di fotografie legate a una sorta di senso esoterico e mistico, ma da cui emerge anche un senso pan, cioè onnicomprensivo della natura.
Nel 1969, White pubblica il suo libro fotografico intitolato Mirrors Messages and manifestations.
Esempio. Union Street, 1958 → assume un carattere quasi astratto, misticheggiante ed esoterico.
Altra grande figura legata alla fotografia soggettiva è quella di Josef Sudek, fotografo cecoslovacco attivo dagli anni ’20. Sudek era una sorta di outsider e si concentrava soprattutto sulla città di Praga, a cui era molto legato.
Tra il 1940 e il 1954 scatta un serie di foto che nel loro insieme prendono il nome di Finestra del mio studio: composizioni molto attente e ricche di suggestione, atmosfera sospesa e surreale, immagini profondamente realiste ma anche evocative.
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Dettagli appunto:
- Autore: Roberta Carta
- Università: Università degli Studi di Cagliari
- Facoltà: Beni culturali
- Esame: Teoria e Storia della fotografia/e
- Docente: David Bruni
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