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Mostre storiche


Nel 1929 a Stoccarda si tiene la mostra Film und foto, mostra sulle espressioni d’avanguardia cinematografica e fotografica inaugurata il 18 maggio e introdotta da Laszlo Moholy-Nagy.

La mostra espose circa 1000 opere riconducibili a 180 autori e fu divisa in:
• Selezione americana, curata da Steichen e Weston.
• Selezione sovietica, curata da El Lissitzky.
• Selezione tedesca, curata dallo stesso Moholy-Nagy.

Il poster della mostra rappresenta la figura del fotoreporter e dal punto di vista grafico rimanda alla sensibilità di tipo modernista.

Nel 1937, presso il MOMA di New York, si tiene la mostra Photography: from 1839 to the 1937, curata da Beaumon Newhall. A questa mostra è legata la prima edizione della sua Storia della fotografia: dal 1839 a oggi.

Sarà proprio il MOMA a istituire, in piena Seconda Guerra Mondiale, un dipartimento di fotografia, che affida a Newhall e che poi nel 1948 passa sotto la direzione di Steichen.
L’acquisizione di un proprio spazio espositivo all’interno di un museo di prestigio come il MOMA dimostra che la fotografia ha ormai quasi raggiunto il livello di altre arti ad appena un secolo dalla sua nascita.

L’inizio degli anni ’50 rappresenta invece per la Francia il periodo in cui si diffonde una nuova tendenza fotografica, legata a una sensibilità di tipo umanistico e riconducibile al cosiddetto “gruppo dei 15”.
Questi fotografi, molti dei quali parteciperanno alla mostra The Family of Men, utilizzavano macchine fotografiche maneggevoli, come la Leica, che permettevano di muoversi rapidamente negli spazi pubblici e privati.
Le tematiche che accomunavano la loro opera erano legate alla vita dei loro connazionali
→ dimensione individuali
→ lavoro
→ società
Il loro registro era spesso poetico e lirico, ma anche attento alla dimensione sociale.

Tra questi fotografi vi era anche Robert Doisneau, dalle cui foto emerge un interesse per la dimensione quotidiana vissuta dai connazionali, con un occhio di riguardo per i ceti più bassi.
Esempio. "Bacio davanti all’Hotel De Ville", 1950. → foto scattata da Doisneau a due ragazzi alle quali chiese di posare per lui. Nonostante fosse frutto di una richiesta esplicita del fotografo, egli riuscì comunque a conferire alla foto un senso di presa diretta con la realtà.
Questa foto di Doisneau contribuì al formarsi dell’immagine di Parigi come città dell’amore nell’immaginario collettivo.

Nel 1955 si tengono due mostre importanti:

• Mostra “The Family of Men”, inaugurata al MOMA di New York nel gennaio del 1955 e curata da Edward Steichen.
Per l’occasione furono esposte oltre 500 fotografie scattate da 273 fotografi, ma negli anni successivi diventa una mostra itinerante sino al 1962, arrivando a toccare 40 paesi diversi e accumulando 9 milioni di visitatori.

Figlia della stampa illustrata, quindi figlia dell’impiego della fotografia in periodici e quotidiani, segna una sorta di chiusura di un’epoca della fotografia che va dal pittorialismo alle avanguardie europee e americane fino alla fotografia diretta.
La concezione alla base della mostra era una concezione “umanitaria”, in base a cui, al di là di ogni differenza sul piano razziale, sociale, economico e culturale, la famiglia dell’uomo, ovvero l’umanità, è una sola. L’umanità è infatti accomunata dalle stesse esigenze, sentimenti, desideri e tappe sul piano esistenziale.
Nell’organizzare la mostra, Steichen la divide in molte sezioni tematiche e insiste sul concetto di fotografia come specchio, quindi sui principi di oggettività e fedeltà nei confronti della realtà, sottolineando la presunzione di realtà che allora era in parte ancora peculiare della fotografia.
La mostra viene tuttavia accusata di a-storicismo, cioè di non storicizzare ogni singola opera e di invece privilegiare una dimensione spettacolare delle immagini, facendo leva sull’aspetto emozionale. Viene tuttavia celebrata la sua natura di “pratica di massa”.

Una delle foto più celebri inserite nel catalogo della mostra è “Il cammino verso il giardino del Paradiso”, foto scattata da William Eugene Smith nel 1946, che ritrae i figli Juanita e Patrick.

Figura importante in questi anni è quella di William Eugene Smith, fotografo statunitense trasferitosi a New York negli anni ’30. Comincia la sua attività come fotogiornalista per periodici come Life e Newsweek, ma si dedica anche alla scrittura di saggi fotografici:
→ Country doctor, 1948, incentrato sulla figura di un medico di campagna americano.
→ Spanish village, dedicato appunto a un villaggio spagnolo.

Egli faceva parte dell’agenzia Magnum, all’interno di cui ha modo di concepire un progetto di dimensioni monumentali sulla città di Pittsburgh, opera finanziata dalla Fondazione Guggenheim.
Dopo aver abbandonato questo progetto, le sue ultime opere fotografiche sono collegate alla volontà di documentare le conseguenze dell’inquinamento industriale in Giappone, volontà che rimanda alla sua formazione come fotogiornalista.
All’interno di quest’opera porta alle estreme conseguenze la contraddizione del reportage: secondo Smith, il fotografo doveva essere onesto e di conseguenza è impossibile che sia oggettivo.
Esempio. Tomoko Uemura nel bagno, 1972.

• Nello stesso anno si tiene anche la mostra sulla fotografia soggettiva, curata da Otto Steinert.
Egli chiamava la fotografia soggettiva “creazione fotografica assoluta” in quanto riteneva che, in quanto frutto di importanti esperienze creative della visione, produce immagini che non appartengono agli stereotipi usuali della fotografia.
Le opere esposte erano circa 725 e la dimensione dominante è quella della soggettività autoriale, che rispecchia una cultura volutamente elitaria, legata in parte all’esistenzialismo, all’informale e all’action painting. È dunque nettamente contrapposta al concetto di fotografia come specchio proposto da The Family of Men.

A partire dagli anni ’40, il fotografo Minor White scatta una serie di fotografie legate a una sorta di senso esoterico e mistico, ma da cui emerge anche un senso pan, cioè onnicomprensivo della natura.
Nel 1969, White pubblica il suo libro fotografico intitolato Mirrors Messages and manifestations.
Esempio. Union Street, 1958 → assume un carattere quasi astratto, misticheggiante ed esoterico.

Altra grande figura legata alla fotografia soggettiva è quella di Josef Sudek, fotografo cecoslovacco attivo dagli anni ’20. Sudek era una sorta di outsider e si concentrava soprattutto sulla città di Praga, a cui era molto legato.
Tra il 1940 e il 1954 scatta un serie di foto che nel loro insieme prendono il nome di Finestra del mio studio: composizioni molto attente e ricche di suggestione, atmosfera sospesa e surreale, immagini profondamente realiste ma anche evocative.

Tratto da STORIA DELLA FOTOGRAFIA di Roberta Carta
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