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Bedrich Smetana e Antonin Dvorak in Repubblica Ceca


Il primo nasce a Litomysl nel 1824 e muore a Praga nel 1884; il secondo nasce a Kralupy nel 1841 e muore a Praga nel 1904. Considerato il più grande musicista boemo, Smetana pose le basi di un linguaggio musicale nazionale che seppe valorizzare il patrimonio etnico locale e conquistare alla Boemia un ruolo di primo piano nella musica europea tra Otto e Novecento. Tutta la sua musica, infatti, è fortemente segnata da un profondo amore per la sua terra, che finì per diventare la sua prima fonte di ispirazione. Nel 1862 si fece promotore di un’opera nazionale ceca che affondasse le sue radici nella cultura, nelle tradizioni e nella musica del proprio paese. Il suo capolavoro è La sposa venduta, un’opera comica che conobbe estrema popolarità. Influenzato profondamente da Liszt, come si vede dal ciclo di poemi sinfonici de La mia patria, seguì molto anche la musica di Wagner.
Dvorak si liberò presto dai giovanili influssi wagneriani e accanto all’amore per i classici, sviluppò un’azione di recupero del folklore slavo. Ottenne un gran numero di riconoscimenti e dal 1892, al 1895 ottenne l’incarico di dirigere il conservatorio di New York, per poi ottenere, nel 1901, quello di direttore del conservatorio di Praga. Distinguiamo la sua produzione in opere vocali e opere strumentali.
In quelle vocali spuntano 11 opere teatrali, che riesumano temi patriottici e melodie contadine, non senza aderire alle novità proposte dal grand – opèra francese. Furono molto apprezzate le sue opere religiose, specialmente lo Stabat Mater.
Per quanto riguarda la produzione strumentale, sono le 9 sinfonie, a buon diritto, a occupare il primo posto nell’esorbitante panorama orchestrale di Dvorak. Ricordiamo poi le due Danze Slave; la Suite ceca op. 39 e il celeberrimo Concerto per violoncello op. 104.
Dvorak nell’ambito delle scuole nazionali ha realizzato un’alternativa importante rispetto alla via segnata da Smetana. Dvorak era, infatti, più legato alla tradizione romantica e si servì del canto popolare di tutto il mondo slavo come libera fonte di ispirazione, conservandone solamente le inflessioni, lo spirito e le movenze, ma reinventandolo totalmente.
La scuola scandinava (Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia) è rappresentata soprattutto dal norvegese Edvard Hagerup Grieg e dal finlandese Jean Sibelius. Grieg utilizza l’ispirazione popolare come momento di autonomia formale, concependo soluzioni armoniche singolarissime, di effetto impressionistico ed immensa suggestione. Ricordiamo tra tutte le musiche di scena per il Peer Gynt di Ibsen.
Sibelius basa la sua musica su un linguaggio raffinato, legato a modelli del tardo romanticismo tedesco e nutrito di elementi folcloristici finnici, evocando i paesaggi nordici e narrando le antiche storie del suo popolo, facendo prevalere il proprio temperamento fantastico sulla retorica delle grandi forme sinfoniche. Ricordiamo di lui molte musiche di scena, poemi sinfonici, sette sinfonie e quant’altro.
In Spagna abbiamo Felipe Pedrell (Tortosa 1841 – Barcellona 1922). Conscio che in Spagna non era tanto necessaria una acquisizione a dignità d’arte di un patrimonio locale prima negletto, bensì di rilevare le radici stesse di una illustre tradizione, intese valorizzare il patrimonio locale spagnolo nella sua interezza popolare e colta, conducendo rigorosi studi su di esso, curando la pubblicazione di importanti raccolte (come il monumentale Canzoniere musicale popolare spagnolo) e facendo confluire i vari apporti entro le proprie composizioni, traducendole in un linguaggio che fosse moderno.
Mirava anche a dare alla Spagna un’opera nazionale, così compose la trilogia I Pirenei, sulla base della trilogia wagneriana.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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