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Il rapporto terapeuta-paziente: dentro il labirinto

Il rapporto terapeuta-paziente: dentro il labirinto    


Esempio di come può svilupparsi il rapporto di complicità con il paziente e le azioni di contenimento familiare necessarie per favorire la ricerca di nessi relazionali diversi.    
Sara,13 anni, in terapia per ripetuti e persistenti comportamenti ossessivi che hanno spinto i genitori ad affidarla temporaneamente ai nonni materni. Sono presenti nonni, genitori, Sara e una sorellina.
Il primo momento di incontro è la descrizione dei comportamenti della ragazza: dal modo di rappresentare la gestualità ossessiva di Sara e di descrivere i particolari si intuiscono forti tensioni tra i genitori.
La sfida al sistema è implicita nel fatto che i sintomi vengono rappresentati da chi ne subisce gli effetti (i genitori) mentre il protagonista (Sara) è costretta a osservare sé stessa rappresentata dai genitori.    
Se dalla difficoltà di “toccare” un bicchiere ci si sposta poi alla difficoltà di toccarsi l’un l’altro, l’immagine esce del territorio sintomatico e si addentra nell’area delle relazioni interpersonali.    
In questo continuo spostarsi di livello è implicita una proposta di complicità con la ragazza che può permettere o impedire che il gioco vada avanti. Una prima conferma alla linea terapeutica arriva quando il terapeuta si avvicina a Sara, che fino ad allora si era tenuta in disparte, e la prende per mano accompagnandola nella “zona degli anziani”. La sua accettazione spontanea del contatto con il terapeuta conferma quest’ultimo nella sua ipotesi che Sara abbia imparato da tempo a colmare spazi da adulto, spostandosi dallo spazio generazionale dei ragazzi a quello dei nonni, e lo spinge a delimitare più vistosamente in seduta l’area degli anziani, dove ci si può rifugiare, e l’area della famiglia nucleare dove sembrano annidarsi forti tensioni.    
Sara non tarda molto a confermare questa ipotesi e il suo disagio, scoppiando in un pianto vistoso. Il terapeuta decide quindi di spostarsi di livello generazionale: fa avvicinare la mamma di Sara nella zona degli anziani (Sara sta in mezzo ai nonni), la fa sedere di fronte alla ragazza e chiede ai nonni di descrivere “quella Sara lì (la mamma) a 13 anni. Le risposte forniscono una serie di informazioni importanti sulle percezioni attuali del rapporto passato tra la madre di Sara e i suoi genitori, sulle relazioni attuali tra la madre e Sara e in generale permettono al terapeuta di costruire ipotesi sull’assetto funzionale della famiglia.
Sara scruta le azioni del terapeuta che solo apparentemente non si occupa di lei, ma di un’altra Sara in un altro tempo e in un altro spazio. In realtà il terapeuta intende entrare sempre più dentro al pianto portato da Sara per ridistribuire le lacrime agli uni e agli altri, che possono riappropriarsi della propria fetta di sofferenza e di responsabilità.    
Proprio la madre offrirà la chiave per entrare nei disagi nascosti e complessi di questo gruppo, si assumerà il rischio di togliersi per prima la maschera in seduta, e quel che più sorprende oltre ai contenuti, è il modo in cui parla, come a liberarsi di un peso enorme.    
Da quanto emerso, il comportamento sintomatico del paziente designato può essere visto come espressione di un modello di contenimento dei problemi familiari, che consente ad essi di manifestarsi e di bilanciarsi, anche se in forma criptica. L’intervento terapeutico crea un altro modello di contenimento temporaneo, che permette di sciogliere le forme attuali del problema e di ripercorrere le strade che portano ai costituenti originari.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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