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La comprensione della letteratura: la funzione


Sempre sulla scia di Platone distinguiamo funzione e forma della letteratura. La prima è quella che domanda: che cosa fa la letteratura? La seconda chiede: qual è il suo tratto distintivo?
Le definizioni della letteratura sulla base della funzione sembrano relativamente stabili. Aristotele parlava di catarsi, di epurazione o di purificazione di emozioni quali la paura e la pietà. Il filosofo poneva il piacere di imparare all’origine dell’arte poetica. Orazio parlava di istruire dilettando. È insomma questa la più comune definizione umanista di letteratura, una conoscenza speciale che è però diversa da quella filosofica o scientifica. Qual è dunque?
Secondo Aristotele è una conoscenza che ha per oggetto ciò che è generale, probabile o verosimile; la doxa, le sentenze e le massime che permettono di comprendere e di regolare il comportamento umano e la vita sociale. Secondo i romantici essa è una conoscenza che verte piuttosto su ciò che è individuale o singolare.
Nell’una o nell’altra opinione rimane invariato il carattere di apprendistato che alla letteratura si attribuisce. Per il modello umanista esiste una conoscenza del mondo e degli uomini che ci deriva direttamente dall’esperienza letteraria; una conoscenza che solo l’esperienza letteraria ci procura.
È un discorso massimalista, certo, ma non si può a ragione asserire, ad esempio, che il romanzo europeo, la cui fortuna ha coinciso con quella del capitalismo, propone, a partire da Cervantes, un apprendistato dell’individuo borghese? Non si può anche asserire che a partire dal Medioevo è stato il libro a permettere l’acquisizione di una soggettività moderna?
Questa concezione umanista della letteratura è stata spesso denunciata per il suo idealismo, e soprattutto per essere visione del mondo di una classe particolare, l’individuo borghese. La letteratura serve allora a produrre un consenso sociale;essa accompagna e poi sostituisce la religione come oppio del popolo. Dopo la decadenza della religione, e prima dell’apoteosi della scienza, spettava alla letteratura, sia pur provvisoriamente, il ruolo di morale sociale. In un mondo sempre più materialista e anarchico, la letteratura sembrava l’ultimo baluardo contro la barbarie. La letteratura è dunque un contributo all’ideologia dominante? Non necessariamente. È una teoria facilmente smontabile se consideriamo, soprattutto, ciò che di letterario è stato prodotto dal XIX secolo; parliamo naturalmente dei poeti maledetti. Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Lautréamont non erano certo servi dell’ordine costituito! Erano produttori di dissenso, rottura e novità. Secondo il modello militare dell’avanguardia, precedevano il progresso, illuminavano il popolo, erano veggenti. I grandi scrittori vedevano prima dei filosofi dove andava il mondo. La letteratura è quindi anche veggenza.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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