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Funzionalismo, significato e calcolo nella filosofia del linguaggio


La tesi per cui le procedure che girano su computer rappresentano i nostri processi mentali ha dato luogo a due atteggiamenti contrapposti verso le macchine pensanti. Uno è un atteggiamento emulativo: i processi computazionali che vengono processati da un computer sono un modo autonomo di emulare l’intelligenza umana e ottenere risultati in certi casi migliori. Vi è poi un atteggiamento simulativo: i processi computazionali sono analoghi a quelli mentali.

Nel primo caso, le macchine pensanti stanno al cervello come le macchine volanti (gli aeroplani) stanno al sistema di volo degli uccelli. Sono due tipi di architettura diversa che hanno obiettivi differenti, ma mostrano comunque che una stessa attività può essere realizzata in diversi modi.

Nel secondo caso, invece, si stabilisce un’analogia più forte tra macchine e umani. La sola differenza è che la mente opera su un certo sostrato fisico (il cervello), mentre una simulazione dei processi mentali fatta da un computer opera su un sostrato fisico differente (fatto di silicio o altri materiali). Ma le funzioni calcolistiche svolte da mente umana e sistema artificiale sono le stesse.

Nasce così il funzionalismo, idea sviluppata da alcuni filosofi, in primis Putnam e Fodor. Secondo il funzionalismo la mente sta il cervello come il software sta all’hardware, e uno studio dei processi di pensiero è indipendente dal supporto fisico (sia esso fatto di neuroni o di chip di silicio).
Negli anni ’50 Turing aveva proposto un test da lui chiamato gioco dell’imitazione, che consisteva nel chiedere a un essere umano di riconoscere se stava comunicando con una macchina. Tale tesi non sostiene necessariamente che la nostra mente funziona come una MT, ma che ogni attività cognitiva è simulabile da un dispositivo che abbia la potenza di una Macchina di Turing.

Searle analizza i sistemi intelligenti (computer con programmi di I. A. per la comprensione del linguaggio) e fa una critica sotto forma di esperimento mentale: l’esperimento della stanza cinese.

Si immagini un uomo chiuso in una stanza dove gli vengono forniti in entrata dei fogli scritti in cinese. Egli ha istruzioni in inglese per convertire questi simboli in cinese in un’altra serie di simboli in cinese, che dovrà consegnare in uscita. Anche se impara bene come trasformare certi simboli in altri simboli, non avrà con ciò imparato il cinese, ma solo a manipolare simboli senza significato.

I procedimenti del computer sono del tutto analoghi al comportamento dell’operatore. Un computer non comprende infatti il linguaggio perché si limita a manipolare simboli e non comprende il significato; esso fa manipolazioni sintattiche ma non ha accesso alla semantica.

Ciò che caratterizza l’uso del linguaggio umano è la capacità di connettere i simboli con oggetti del mondo, capacità che Searle chiama intenzionalità originaria. I computer hanno invece intenzionalità derivata, cioè i loro simboli hanno significato solo perché noi diamo loro significato.

Tratto da INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO di Domenico Valenza
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