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La spendita del nome


Al fine di consentire al terzo di avere cognizione che gli effetti del contratto si produrranno nei confronti di altro soggetto, è necessario che venga indicata la persona per la quale il rappresentante opera.
Le fasi della spendita sono due: la manifestazione che l’atto non è compiuto per il suo uso autore, ma per un diverso interessato, e l’indicazione dell’identità di quest’ultimo.
Se il rappresentante si limita a far presente che non contrae per sé, ma per un altro che, tuttavia, non indica, il contratto vincola, sino alla rivelazione di tale identità, il rappresentante.
Dipende dalla spendita o meno del nome del rappresentato la configurazione della rappresentanza come diretta o indiretta.
Quest’ultima non produce gli effetti previsti dall’art. 1388 c.c. e colui che emette la dichiarazione diventa titolare dei diritti e obblighi nascenti dal negozio concluso.
Occorrerà poi un ulteriore atto per trasmettere gli effetti nel patrimonio del rappresentato.
Per alcuno non sarebbe ammessa una spendita tacita o implicita desunta da presunzioni, come la conoscenza dell’esistenza di una procura.
Un’impostazione meno formalistica assume che la spendita non deve consistere in un’espressa dichiarazione, essendo necessario un comportamento del rappresentante, univoco e concludente, idoneo a manifestare all’altro contraente che egli agisce per un diverso soggetto.
In giurisprudenza si osserva che, in presenza di un’attività negoziale per la quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, non è sufficiente l’esistenza della procura nella stessa forma, ma la spendita deve risultare anche dallo stesso documento contrattuale sottoscritto dal rappresentante.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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