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L'opera di Philippe Ariès


La psicanalisi ha influenzato in particolare gli studi che si possono ricondurre al campo della storia dell'educazione ma la sua grande influenza ha fatto sì che anche l'orizzonte storiografico ne accogliesse incidenze e orientamenti, e persino fraintendimenti, come quello di cui è stato “vittima” Philippe Ariès, il maggiore studioso dell'infanzia nell'Europa medievale e moderna, spesso falsamente accostato alla psicostoria.
In effetti l'opera di Ariès stesso si comprende solamente a partire dalla forte connotazione interdisciplinare della nuova storia; il grande storico francese fu, in realtà, uno dei protagonisti di quella svolta nello studio della famiglia avviato dall'incontro fecondo di discipline diverse, in primo luogo della demografia con la storia. La fortuna dell'opera di Ariès si deve alla sua capacità di interrogare il passato sulla base delle sollecitazioni derivanti dalle problematiche contemporanee. Un altro merito dell'opera, per molti versi pionieristica, di questo storico, è stato l'aver proposto per primo uno schema di evoluzione della condizione infantile cui gli storici continuano a ispirarsi: dal Medioevo al 1600 il bambino non ha caratteristiche specifiche; a partire dal 1700, nella borghesia e nella nobiltà illuminata, la famiglia nucleare comprende solo la coppia parentale e i suoi discendenti diretti e il bambino è più coccolato e inizia ad essere considerato come un individuo; la funzione materna, infine, viene rivalutata, essendo essa la prima educatrice, colei che, con il suo amore, fa crescere il bambino.
Precisamente qui sta il punto di fraintendimento delle tesi di Ariès e la sua confusione con il punto di vista delle psicostorie, di marca statunitense e fortemente criticate in terra francese: il rafforzamento della coppia madre – bambino che conduce a volte a eccessi, con l'atteggiamento dispotico della madre nella famiglia o a conflitti familiari sulla base dei quali è nata la psicanalisi. Gli psicostorici hanno utiizzato le tesi di Ariès per giungere a interpretazioni condotte sulla base di criteri contemporanei; sono anacronistiche e non sono in grado di rappresentare la realtà del passato. Ecco allora i bambini visti come piccoli animali voraci; la repressione della mastrubazione a partire dal 1700; le relazioni genitoriali complesse volontariamente perché il ruolo materno era scisso in persone diverse: la nutrice prima e la madre poi; la prima infanzia come periodo di repressione degli impulsi, che producevano adulti infelici che avrebbero continuato il circolo vizioso.
Si è voluto far dire ad Ariès che il secolo dei Lumi aveva inventato l'amore per i figli (assurdo) e si è forzata la sua ricerca in direzione di una visione ottimistica del cambiamento, mentre egli lascia intendere chiaramente la nostalgia che prova per la società antica, dal carattere eterogeneo; una società in cui gli uomini si preoccupano poco di separare le classi sociali e i gruppi di età. Si va da un primo periodo, quello greco-romano, in cui il bambino, secondo Ariés, occupa un posto importante nella cultura, ad un secondo periodo, quello appunto della tarda Antichità e dell'Alto Medioevo, in cui esso sembra tornare in ombra, ad un terzo in cui emerge il "sentimento moderno dell'infanzia" ed è quello che dal 2/300 viene quasi ai nostri giorni.
Allora appare all'orizzonte un 4° periodo in cui, secondo Ariés, il bambino ritornerebbe in ombra e si andrebbe verso una vera e propria eclissi del sentimento moderno dell'infanzia e verso una nuova epoca buia in cui le "icone" che prevarrebbero sarebbero quelle della violenza ai minori, o, nella migliore delle ipotesi, si andrebbe verso una loro marginalizzazione nell'immaginario adulto.
Alla luce di quanto detto sarebbe forse più interessante proiettare queste indagini sotto la lente di una storia della mentalità, all'interno della quale anche le indagini di storia dell'educazione troverebbero posto. Dopo gli anni Settanta e le iniziative dell'approccio psicanalitico, dopo la radicale questione posta da Michel Foucault, che sosteneva a buon diritto il fatto che pratiche e discorsi culturali, inseriti nello spazio di una stessa episteme, costituiscono altrettanti elementi che si aggiustano e si regolano secondo i termini di un gioco sociale dei poteri, la stessa nozione di mentalità, ormai approssimativa, non deve essere vista come l'indicazione di un oggetto rigoroso quanto come la manifestazione di una sensibilità presso gli storici. Una risorsa certamente ricca di spunti e applicabile anche alla storia dell'educazione.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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