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William Stahan e l'opera di Jean Domat sulle colonie americane (1722)


William Stahan traducendo un'opera di Jean Domat nel 1722  cercò di dirimere la questione asserendo che se le colonie americane erano parte della proprietà reale, ciò significava di fatto che c'era una grandissima affinità tra esse e quelle spagnole e di altre nazioni, poiché le garanzie date dal re d'Inghilterra e gli accordi stipulati per impiantare colonie e insediamenti erano formulati a imitazione delle garanzie date dal re di Spagna ai proprietari di terre nelle colonie spagnole, a condizioni quasi identiche e in considerazione degli stessi servigi assicurati da coloro che avevano ricevuto le garanzie. Stahan suggerisce dunque di analizzare la legislazione delle norme del diritto civile e feudale spagnolo per trovare ispirazione nel trattare gli obblighi e le revoche di proprietà sulla terra nelle colonie inglesi.
James Otis respinse il suggerimento di Strahan perchè il diritto di proprietà spagnolo (e francese) era troppo scivoloso e si sarebbe mostrato nella sua pericolosità all'applicazione pratica. E in effetti gli argomenti di Strahan si rivelarono più insidiosi di quanto lo stesso Otis avrebbe pensato.
Pochi allora, innanzitutto, erano disposti a spingersi tanto lontano, individuando negli astratti principi lockiani della legge di natura, secondo i quali nessun uomo necessitava dell'autorizzazione di un altro per lasciare la società civile e che essi non dovevano obbedienza a nessuno se non a colui cui avessero volontariamente concesso la fiducia. Molti coloni di rilievo erano infatti giuristi importanti e rispettosi della common law; esigevano dunque argomenti più robusti e concreti.
Così Jefferson ed altri affiancarono al discorso sulla legge di natura, quello dei patti stabiliti col re tramite le patenti, conservando dunque il dovere di obbedienza ad un re lontano. Strahan fece notare che ciò si avvicinava in termini giuridici ad una specie di dipendenza feudale. Se infatti il re era stato la sola fonte di autorità per le prime fondazioni coloniali, e se la loro legittimità andava cercata nelle origini storiche, nulla poteva interporsi tra i coloni e la “franca buona volontà del re”. A complicare il discorso di Strahan stava anche il fatto che agli occhi di molti in Inghilterra era proprio questa dipendenza feudale a costituire un elemento forte nelle proteste contro gli americani durante la crisi dello Stamp Act.
Otis replicò a Strahan che le colonie spagnole e francesi erano state fondate sulla base di un atto sovrano del papa e che quelle colonie erano soggette anche ad un corpo di leggi che erano calate dall'alto sui coloni in quanto emanate dai loro sovrani.
Invece le colonie inglesi avevano sempre redatto in autonomia le loro leggi, a dispetto della dipendenza formale dal manor di East Greenwich, perchè tale dipendenza era inferiore a quanto si affermava nelle patenti reali, che assicuravano ai coloni la libertà di emanare leggi secondo ciò che ritenevano conveniente per loro. Erano parole che si potevano tranquillamente individuare come la negazione di ogni residuo di feudalità verso il re d'Inghilterra.
John Campbell diede un ulteriore colpo affermando che in virtù delle loro rispettive patenti, ogni colonia aveva agito in realtà percependosi in molti casi nelle vesti di tanti stati autonomi piuttosto che come province di uno stesso impero.  James Madison disse nel 1799 che proprio il fatto che non c'era alcuna legge comune neppure tra due colonie e nessuna sede legislativa comune che potesse esprimere in forma di legge la volontà comune, non era pensabile che una legge agisse come espressione dell'intero impero. L'impero inglese dunque non esisteva giuridicamente, come osservò John Adams.
Ciò che legava i coloni alla madrepatria non era un corpo di leggi né un certo numero di obblighi, feudali o di altro genere, ma piuttosto la comune lealtà ad un singolo sovrano. Una semplice devozione, che il re aveva infranto negando ai coloni la loro indipendenza legislativa e il loro diritto ad una rappresentanza vera e non virtuale.


Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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