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Gli studi delle subculture


Lo studio delle subculture ha le sue origini nella scuola di Chicago in un periodo che vada gli anni 20 agli anni 60. È a partire dall'interesse di alcuni autori, come ad es Park, che nasce un progetto di ricerca allo scopo di esplorare la grande diversità dei comportamenti e orientamenti presenti nelle città americane di inizio secolo. È però solo con lo studio di Cohen sulle bande giovanili che popolano i "quartieri della malavita", che il concetto di subcultura viene spiegato. Egli fornisce un ritratto della subcultura delinquente sia dal punto di vista sociale, sia da quello dei suoi contenuti culturali. Questa risulta essere concentrata soprattutto nel settore maschile della gioventù della classe operaia. L'odio e il disprezzo della subcultura delinquente sono rivolti verso i rappresentanti delle istituzioni, come per es gli insegnanti o le persone per bene. Le subculture delinquenti sono anche gratuite, maligne e distruttive. Gratuite in quanto il furto, una delle attività più frequenti, non è motivato razionalmente, ma si ruba per ottenere il riconoscimento; maligne perché gli scherzi e le attività che fanno parte della banda sono sempre motivati dal piacere della provocazione e dalla trasgressione; distruttive in quanto la subcultura giovanile delinquente prende le proprie norme della cultura circostante ma le capovolge: la condotta delle delinquente è giusta proprio perché è considerata ingiusta dall'ambiente circostante. A questi attributi Cohen ne aggiunge degli altri, come la versatilità, cioè il fatto che la banda non si specializza in una specifica attività criminale ma comprende un'ampia gamma di vandalismi, furti, ecc.
Cohen sostiene che le forme subculturali emergano dall'interazione tra attori sociali che hanno problemi simili di adattamento sociale e si tratta dunque di una strategia collettiva di soluzione di problemi.
Un altro filone di ricerche altrettanto importante è legato all'attività del Centro per gli Studi Culturali Contemporanei dell'Università di Birmingham, durante gli anni 70, dai "Cultural Studies". Centro dell'interesse si sposta dalle subculture delinquenti alle subculture giovanili, in particolare a quelle inglesi che sviluppano modi di espressione (mods, teds, punk). L'approccio teorico è influenzato dal marxismo. Le subculture giovanili hanno una precisa collocazione di classe: appartengono sempre alla classe operaia. Tuttavia rappresentano una mediazione tra l'identità definita in termini di classe della cultura familiare e il modo commercializzato della cultura di massa, che a partire dagli anni 60, comincia ad esercitare una forte attrazione sui giovani che vengono considerati un nuovo mercato. La subcultura giovanile nasce dunque dall'intersezione tra cultura operaia dei genitori e le istituzioni della cultura dominante; in particolare la subcultura costruisce la sua specifica identità attraverso l'utilizzo di oggetti (per esempio la lambretta e la vespa per i mods, spille da balia, cerniera e bottoni inutilizzati per i punks), la preferenza per un certo tipo di musica, un determinato tipo di abbigliamento, di pettinatura e di presentazione di sé, combinati in modo da formare uno stile distintivo. Stile significa sia un modo di comunicare agli altri la propria identità, sia un metodo per mettere ordine nelle proprie idee sulla società e sul proprio ruolo in essa. Queste subculture emergono anche grazie alla crescita del reddito disponibile per gli adolescenti della classe operaia.
Negli anni 80 le bande e le subculture giovanili emersero anche in Italia, anche se era un fenomeno transitorio. Sia la scuola di Chicago che i Cultural Studies tendono a fornire un'immagine spezzata della complessità culturale della società contemporanea. La cultura di una società appare formata dall'aggregazione di subculture locali, ognuna delle quali produce una variante subordinata costituita da norme e valori omogenei, che si trovano all'interno delle reti di relazioni sociali, etnica e generazionali, con dei confini delimitati da costituire quadri delle comunità a sé stanti.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI di Manuela Floris
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