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I regimi della riforma del 2003


Tale riforma ha parecchio complicata la normativa fiscale relativa alla tassazione degli interessi passivi; è stata infatti sdoppiata in tre articoli (ora abrogati):
- l’articolo 98 relativo alla “thin capitalization”;
- il pro-rata generale di cui all’articolo 96;
- il pro-rata patrimoniale di cui all’articolo 97.
Tutti questi regimi sono stati abrogati dalla Finanziaria del 2008. Andiamo ad analizzarli nello specifico.
Thin capitalization: norma secondo la quale non era consentita la deduzione delle remunerazioni dei finanziamenti riconducibili alla compagine sociale, quando il rapporto tra l’ammontare di questi ultimi e il patrimonio netto della società fosse superiore a quello di quattro a uno.
Nella legge delega 80/2003 l’istituto era collocabile nel filone degli interventi pensati per eliminare i particolarismi del sistema tributario italiano,adeguandoli ai modelli offerti dagli altri stati dell’unione. L’intento era chiaramente antielusivo e si rifaceva alla sottocapitalizzazione generata dalle asimmetrie riscontrabili tra il regime degli interessi passivi presso la società erogante e quello degli interessi attivi presso i soci. 
La prospettiva entro la quale si muoveva l’istituto si manifestava pertanto, più che nel contrasto al fenomeno dell’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione, o nel contrasto a quello della sottocapitalizzazione in sé, in quello dell’equiparazione degli interessi attivi ai dividendi.
La normativa in esame interessava tutte le società e gli enti soggetti ad IRES, purchè producessero redditi d’impresa. Interessava anche le società di persone e persino le imprese individuali, in cui ogni volta si faceva riferimento al socio in realtà era come se ci si riferisse all’imprenditore stesso.  Erano in ogni caso esclusi i contribuenti il cui volume d’affari non superasse le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore, a meno che non esercitassero in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni.
Non tutti i finanziamenti riconducibili ai soci rientravano nella disciplina considerata, ma solo quelli erogati o garantiti da soci “ qualificati” o da parti correlate” ai soci qualificati. Ai sensi dell’articolo 98 comma 3 lett. c) un socio si considerava “qualificato”quando direttamente o indirettamente (tramite società controllate) controllava la società ai sensi dell’art. 2359 C.C., ovvero partecipava al capitale sociale della società con una percentuale non inferiore al 25% (considerando anche le partecipazioni detenute dalle sue parti correlate).
I finanziamenti che rilevavano erano “quelli rilevanti da mutui, da depositi di denaro e da ogni altro rapporto di natura finanziaria” (art. 98 comma 4). Erano pertanto esclusi tutti i debiti che derivavano da  operazioni commerciali, a condizione che il profilo finanziario del debito non prevalesse sulla sua natura commerciale, per effetto di anomalie nelle condizioni e nei tempi di pagamento. Erano inoltre esclusi tutti quei rapporti da cui non sorgeva un obbligo di restituzione del denaro o delle altre cose fungibili oggetto del finanziamento.
I finanziamenti sopra menzionati non dovevano necessariamente essere erogati direttamente dal socio qualificato o da sue parti correlate; potevano essere erogati anche da un terzo, purchè garantiti dal socio qualificato o da sue parti correlate. La nozione di garanzia accolta in questo ambito era particolarmente ampia, coprendo le garanzie reali (ipoteca, pegno), quelle personali (fideiussione, avvallo), nonché quelle “di fatto fornite da tali soggetti anche mediante comportamenti ed atti giuridici che,seppure non qualificandosi quali prestazioni di garanzia, ottengono lo stesso effetto economico”. Dei finanziamenti indicati occorreva calcolare la consistenza media del periodo di imposta. Occorreva cioè sommare il relativo ammontare complessivo alla fine di ogni giorno del periodo e poi dividere  per il numero dei giorni.
Alla consistenza media dei finanziamenti erogati o garantiti del socio qualificato e dalle sue parti correlate occorreva contrapporre la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle sue parti correlate. Ai fini della determinazione del patrimonio netto di riferimento, si assumeva come base di partenza il patrimonio netto contabile della società finanziata, così come risulta dal bilancio relativo all’esercizio precedente, per prescrivere una serie di rettifiche. Il valore espresso dal bilancio doveva essere rettificato in diminuzione in relazione ad elementi dell’attivo meramente nominali, ossia i crediti per obblighi di conferimento non ancora eseguiti ed il valore di libro delle azioni proprie in portafoglio, nonché, al fine di evitare “una duplicazione a cascata di patrimonio netto”, la quale avrebbe consentito di gonfiare l’importo degli interessi passivi deducibili, del valore del libro delle partecipazioni in società controllate e collegate residenti. Non doveva essere rettificato in diminuzione delle perdite subite, nella misura in cui entro la data d approvazione del bilancio relativo al secondo esercizio successivo a quello in cui si riferivano avvenisse la ricostruzione del patrimonio netto mediante l’accantonamento di utili o l’esecuzione dei conferimenti in denaro o in natura.
Se il rapporto tra la consistenza media dei finanziamenti riconducibili a ciascun socio qualificato (e le sue parti correlate) e la quota di patrimonio netto attribuibile allo stesso era superiore a quello di quattro a uno, le remunerazioni riferibili all’eccedenza, calcolate applicando ai finanziamenti eccedenti un tasso medio,  corrispondente al rapporto tra la remunerazione complessiva dei finanziamenti riferibili al socio qualificato (e alle sue parti correlate) maturata nel periodo e la consistenza media degli stessi erano indeducibili.
Prima di  verificare la posizione di ciascun socio qualificato ( e delle sue parti correlate ), l’art. 98 comma 2,imponeva di considerare il rapporto debito – patrimonio netto su base cumulativa, ovvero di individuare il rapporto esistente tra la consistenza media del complesso dei finanziamenti erogati o garantiti dai soci qualificati (e delle rispettive parti correlate) e la quota di patrimonio netto riconducibile agli stessi soggetti. Se il rapporto non era superiore a quello di quattro a uno, le restrizioni previste dalla normativa in esame non operavano. Allo stesso modo, non operavano qualora la società finanziaria fosse in grado di fornire la dimostrazione che l’ammontare dei finanziamenti erogati o distribuiti dai soci o dalle loro parti correlate era giustificato dalla propria oggettiva capacità di ottenere credito con  la sola garanzia del patrimonio della società, e che per questo motivo i finanziamenti in questione avrebbero potuto essere erogati anche da terzi finanziatori.
Gli oneri finanziari che erano esclusi dal concorso alla formazione del reddito della società finanziata erano equiparati agli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società o enti soggetti all’IRES, se relativi a finanziamenti direttamente erogati dal socio qualificato o dalle sue parti correlate.
Il pro-rata patrimoniale: qualora una società detenesse partecipazioni dotate dei requisiti per godere della partecipation exemption (art. 87), la deducibilità degli interessi passivi doveva essere verificata alla luce dell’art. 97, il quale configurava un pro-rata di indeducibilità destinato ad escludere dalla formazione del reddito gli interessi che si riferivano ai finanziamenti imputabili al possesso delle suddette partecipazioni.
La logica di tale istituto richiamava quella del pro-rata generale, di cui all’articolo 96 (previgente alla riforma del 2003); la struttura  era tuttavia diversa, perché basata su un rapporto tra valori patrimoniali anziché tra proventi.
L’indeducibilità disposta dal pro-rata patrimoniale era infatti legata all’investimento delle partecipazioni in questione, laddove tale investimento imponesse il ricorso all’indebitamento. Poiché l’acquisto delle pex si intendeva finanziato in primo luogo dal patrimonio netto della società, il meccanismo in esame si attivava soltanto se al termine del periodo di imposta il valore delle partecipazioni era superiore a quello del patrimonio netto contabile (comprensivo dell’utile di esercizio).  Per calcolare il pro-rata di indeducibilità l’eventuale eccedenza del segmento di valore delle partecipazioni fruenti di partecipation exemption lasciato scoperto dal valore del patrimonio netto doveva essere rapportato al totale dell’attivo ridotto dell’importo dei debiti commerciali e di quello del patrimonio netto. Il rapporto ottenuto indicava la parte indeducibile di interessi passivi che residuavano dopo l’applicazione della normativa sulla sottocapitalizzazione al netto di eventuali interessi passivi. Detta parte doveva quindi essere ridotta in misura corrispondente alla quota imponibile dei dividendi relativi alle suddette partecipazioni.
Il pro-rata generale: infine, in forza dell’art. 96, gli interessi passivi sopravvissuti alla falcidia imposta dagli istituti commentati in precedenza sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei  ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Per essi vigeva la medesima regolamentazione che opera per tutti quei componenti negativi di reddito che si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili nella determinazione del reddito di impresa.
La ratio di questa norma è da ricercarsi nel fatto secondo cui questo meccanismo consente di eliminare la necessità di identificare con precisione la concreta destinazione delle risorse che sono state reperite dall’impresa contraendo quei prestiti o ottenendo quelle dilazioni nei pagamenti, ai quali gli interessi passivi accedono, e così di soddisfare quell’interesse alla certezza più volte richiamato.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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