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Il piano di Josè del Campillo y Cossìo (1741-1743)


Anche gli spagnoli formularono piani. Il più influente fu quello scritto tra il 1741 e il 1743 da Josè del Campillo y Cossìo, segretario alla Marina e alle Indie che passò al setaccio le conseguenze della nuova economia sulla Spagna.
Campillo sottolineava come il suo paese fosse forte in termini di possedimenti territoriali ma non in termini politici ed economici. Il commercio nelle Americhe era per il corpo politico come la circolazione del sangue e la Spagna ricavava dai possedimenti americani quasi nulla. Campillo individuava la causa di ciò ancora una volta nel deleterio spirito guerriero di conquista ormai superato. Era necessario consolidare ciò che si possedeva e non cullarsi sugli allori della conquista. Non è la rapina dei conquistadores a garantire alla Spagna sviluppo ma lo sviluppo creato tramite il commercio pacifico: gli indigeni erano la sola fonte possibile da cui ricavare una nuova popolazione industriosa, trattandoli bene e incoraggiandoli a diventare industriosi e facendi di loro degli utili vassalli, e spagnoli. Campillo sapeva bene che nessun monarca spagnolo lo avrebbe compreso.
Pedro Rodriguèz Campomanes, il ministro riformatore di Carlo III di cui abbiamo parlato, sosteneva che il mezzo più semplice ed efficace per porre fine alle conseguenze deleterie di due secoli di soluzioni sociali ed economice sbagliate era di perseguire le politiche di libero mercato che Josiah Child un secolo prima aveva perorato in New Discours on Trade (1665).
Sulla base di Child, Campomanes formulò quello che fu un nuovo e importante concetto di impero, la cui ricchezza deriva dal commercio, dalla navigazione e dalla manifattura, mentre le guerre servono solo al controllo del commercio con le colonie e non per la lotta per il dominio territoriale.
Campomanes individua come molti le cause del declino dell'economia spagnola nella sua estrema dipendenza dai metalli del Nuovo Mondo, barattati con manifatture estere, facendo notare per di più quanto poco producesse la Spagna per sé stessa. Il mercantilismo sembrò poi frenare in parte l'emorragia di risorse nazionali. In merito agli scambi con le proprie colonie, Campomanes stigmatizza il comportamento della Corona, che limitava ai castigliani l'accesso al commercio con l'America, facendo notare che all'interno dei propri domini il commercio avrebbe dovuto essere libero (aragonesi, portoghesi, italiani, fiamminghi ecc..). Campomanes sperava che in questa maniera gli stessi sudditi della corona avrebbero mollato l'ideale guerresco per trasformarsi in uomini economici.
Campomanes, Campillo e altri non riuscirono pienamente a convincere i re della bontà del liberalismo economico ma contribuirono comunque a mutare l'immagine politica e culturale della stessa monarchia, facendola sembrare sempre più somigliante ad un regno costituzionale dove il monarca agiva da magistrato e non da giudice, nei limiti delle leggi da lui stesso ratificate. Tutto ciò richiedeva anche un cambiamento e una assai più articolata coscienza delle relazioni esistenti tra le società coloniali sviluppatesi in America e le rispettive madrepatrie. Nel prossimo capitolo, appunto, analizzeremo la relazione tra colonie e madrepatrie.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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