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La marcia su Roma - 1922 -

La marcia su Roma - 1922 -



Ma una parte dell’opinione pubblica favorevole al fascismo comincia a esprimere perplessità sulle azioni violente del partito. Tra l’altro, gli scioperi sono diminuiti e le continue scissioni nella sinistra italiana gli hanno fatto perdere sempre più forza. Infatti i socialisti riformisti, guidati da Turati e Matteotti, fondano il Partito socialista unitario (Psu), che ha un orientamento moderato e rispettoso delle regole parlamentari e cerca l’appoggio dei governi liberali.
Quindi la minaccia bolscevica è oramai inconsistente. Mussolini decide così di tentare un’audace azione di forza. Nel 1922 si organizza una marcia su Roma, che portasse alle dimissioni di Facta e a costringere il re ad affidare il governo a Mussolini. Così fu in quanto la marcia rappresentò un vero e proprio colpo di Stato. Il re Vittorio Emanuele III non firmò lo stato d’assedio che Facta gli presentò e per evitare uno spargimento di sangue, fece marciare indisturbati i fascisti a Roma e affidò il governo a Mussolini.
Poco dopo venne formato il Gran Consiglio del Fascismo, un organo di raccordo tra il Partito nazionale fascista e lo Stato. Nel 1923 le squadre d’azione fasciste si trasformarono nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo militare che rimane collegato al Pnf ma che essendo istituzionalizzato affianca esercito e carabinieri.
Sempre nel 1923 viene emanata una nuova legge elettorale, che prevede che la lista che raccoglie la maggioranza relativa ottenga i 2/3 dei deputati alla Camera. L’unico sbarramento da superare per avere la maggioranza è ottenere il 25% dei voti. Nel 1924 sono indette le nuove elezioni, in un clima di violenza che intimidisce gli elettori e li orienta verso le Liste nazionali, raggruppamenti di coalizione dominati dai fascisti, ma con un buon numero di liberali di destra ed esponenti cattolici di destra. I gruppi di opposizione fanno la scelta suicida di presentarsi divisi. Le Liste nazionali trionfano. Ma il segretario del Psu Matteotti pronuncia alla Camera un duro discorso, nel quale denuncia le violenze e le intimidazioni che hanno caratterizzato le elezioni e ne chiede l’annullamento. Matteotti viene rapito da un gruppo di fascisti che lo uccidono nascondendo il corpo in una campagna romana, dove viene trovato due mesi dopo.
Sebbene l’ordine sembri non sia giunto direttamente da Mussolini, è chiaro che la responsabilità politica e morale venga dal suo partito. Le opposizioni decidono di ritirarsi dal Parlamento e di riunirsi separatamente: è la secessione dell’Aventino (una definizione che ricorda un episodio della storia dell’antica Roma, con la plebe che si ritira dal colle Aventino per protestare contro i patrizi). Gli oppositori sperano in un intervento del re che non fa niente. Inoltre Mussolini tiene un discorso alla Camera in cui si assume provocatoriamente le responsabilità dell’accaduto. È la fine dello Stato liberale e l’inizio del totalitarismo (con questo termine si intende: il dominio di un unico partito, una presenza di una ristretta élite politica, l’adozione di un’ideologia imposta anche attraverso la violenza, un’azione politica volta alla realizzazione di un nuovo ordine sociale, economico e morale).

Tratto da L'ETÀ CONTEMPORANEA di Gabriella Galbiati
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